Torino verso il Expo, “saremo la città degli orti”
Torino vuole arrivare all’appuntamento di Expo nel 2015 con un’immagine forte di Città dell’alimentazione sostenibile e del verde sociale.
Fiore all’occhiello sono le scelte sulle mense scolastiche, con il capitolato pensato per favorire l’economia agricola locale e biologica; e la moltiplicazione degli orti urbani e degli spazi sociali dedicati alle produzioni e alla libera distribuzione alimentare.
Torino si presenterà al mondo come una città cambiata: non più “one company town”, dove i ritmi, i servizi e la stessa urbanistica, sono pensati per la produzione industriale dell’auto. Ma laboratorio di un nuovo modo di concepire gli spazi (magari dove i palazzi convivono con i pomodori e le mele), e di un nuovo modo di vivere la realtà urbana divisa tra i luoghi del lavoro, dello studio e del tempo libero e quelli del verde agricolo.
Il punto di partenza è il cambiamento culturale che ha visto la Città la nascita (come richiama spesso Fassino) di realtà che hanno cambiato nel mondo il modo di pensare al cibo, in primo luogo Slow Food e Eataly.
Un fermento culturale che si allarga ai centri di ricerca universitari e alle tante presenze associative che in città si occupano di biologico, km zero, cooperazione alimentare, lotta agli sprechi etc. Movimenti culturali della sostenibilità alimentare che si trovano di fronte a una città che, nella sua grande trasformazione urbanistica continua a liberare aree un tempo industriali.
Insomma a Torino ci sono le idee che ruotano intorno al cibo e ci sono gli spazi fisici per sperimentarle.
“Partendo dall’analisi della grande trasformazione fisica di Torino – osserva l’assessore comunale Enzo Lavolta, Pd – e dalla constatazione che la superficie a verde è passata negli ultimi 20 anni da 11 a 20 milioni di metri quadrati, ci siamo chiesti se la nuova urbanistica di una città industriale e dei servizi potesse sposarsi con la presenza di un’agricoltura diffusa. Se una città percepita come industriale potesse avviare progetti di agricoltura urbana. Abbiamo visto che, all’interno dei confini comunali, sono presenti 2 milioni di aree verdi agricole, in molti casi già coltivate dagli agricoltori e ai altri casi utilizzate dagli orti urbani. Abbiamo anche visto che oggi c’è una nuova generazione che chiede di poter fare agricoltura urbana. Così abbiamo è partito il progetto Toc, Torino città da coltivare, dove vengono individuati appezzamenti comunali da affidare ai cittadini per realizzare orti. Per ora abbiamo 310 terreni comunali dove impiantare piccole attività agricole, ma l’obiettivo per il 2020 è arrivare a 2.000 orti comunali, utilizzando soprattutto la riqualificazione di ex aree industriali”.
La sistemazione dell’area dei laghetti della Falchera rientra nel progetto Toc. La città non ha solo i suoi nuovi specchi d’acqua ma anche un centinaio di nuovi orti. Nello stesso spirito la risistemazione degli storici orti (abusivi) lungo il Sangone, oggi raggruppati nel progetto Miraorti che comprende anche gli orti didattici delle scuole. E, ancora, il bando appena chiuso dalla Circoscrizione 5 per gli orti messi a disposizione dei cittadini.
“Pensiamo non solo all’affidamento di terreni a famiglie ma anche a gruppi e associazioni, e stiamo ragionando anche per avviare uno stretto rapporto con il sistema penitenziario. E poi c’è da intensificare tutta la produzione culturale legata all’agricoltura urbana e all’alimentazione sostenibile. Vogliamo valorizzare ancora di più la grande rete associativa che si occupa di cibo e di agricoltura creando sempre più spazi come quello di Cascina Roccafranca dove trovano sede le associazioni e dove si svolgono momenti di confronto e scambio di idee”.
Chissà se Torino diventerà davvero uno spazio suddiviso tra condomini, uffici e orti. Chissà se vedremo sempre più spesso salire sul 4 o sulla metro ragazzi con la zappa e la vanga in mano in procinto di andare a coltivare il proprio pezzetto di orto sociale.
Intanto, per la Città della Fiat c’è in campo questa nuova suggestione che, forse, non porterà direttamente nuovi posti di lavoro, ma che le altre metropoli europee certamente di invidieranno.
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