Torino, senza la Provincia chi decide le politiche del gusto?
Quali saranno le politiche agricole e alimentari della nuova Città metropolitana?
Con la chiusura della Provincia dovremo dire addio ai 32 prodotti tipici legati dal marchio del Paniere? Alle relative associazioni che raggruppano oltre 900 produttori? Alle Strade reali dei vini? Alle escursioni alla scoperta dei sapori? Ai mercatini e ai ristoranti del Paniere?
Quella che unisce insieme sviluppo agricolo ed educazione alimentare dei cittadini è un’eredità importante della Provincia, strategica per i territori e per la stessa coesione della nuova istituzione che pretende di mettere insieme area metropolitana del capoluogo e territori, sotto la futura guida di Piero Fassino.
La Provincia ha svolto un ruolo determinante nella rivalutazione di un’economia agricola per un territorio che sembrava avere solo una vocazione industriale.
La Città metropolitana dovrà essere all’altezza e non abbandonare l’agricoltura.
“Per una provincia come quella di Torino, con una grande area urbana intorno al capoluogo, la nuova Città metropolitana è una grande occasione – non ha dubbi Elena Di Bella, dirigente del Servizio sviluppo rurale dell’attuale Provincia – Con il nuovo ente abbiamo l’opportunità di creare quella connessione tra città e campagna, tra capoluogo e territori, che è fondamentale per entrambi e che è proprio ben rappresentata dagli interessi comuni legati al cibo”.
Intanto, la Città metropolitana dovrà mostrare la stessa sensibilità per l’agricoltura locale mostrata dalla Provincia, e poi dovrà garantire al sistema almeno le stesse risorse, soprattutto intercettando fondi europei.
“Le politiche agricole della Provincia valgono 600.000 euro l’anno. Anche se, negli anni di vacche grasse, la Provincia muoveva fino a 2 milioni di risorse proprie. Certo, non è pensabile oggi, tornare a quelle disponibilità di bilancio, ma sarà fondamentale continuare a mantenere una grande capacità di progettazione con fondi comunitari, e in questo la Regione dovrà svolgere un ruolo fondamentale di raccordo con le Province e la Città metropolitana”.
Ma il bilancio della Provincia serviva anche a fare svolgere all’ente il ruolo di capofila tra i partner di progetti europei. La Città metropolitana sarà in grado di fare altrettanto? Anche perché se manca un capofila forte è impossibile mettere insieme aziende agricole, spesso a conduzione familiare, unioni di Comuni e piccoli comuni.
“Questa è una sfida fondamentale. Il nuovo tessuto istituzionale dovrà essere in grado di gestire i fondi Ue, altrimenti perdiamo i finanziamenti. E al quel punto mancherebbero tutte le risorse per politiche agricole e alimentari”.
Soldi europei per quali politiche?
“Per seguire strade nuove. Dopo gli anni dei prodotti tipici, dopo gli anni del Paniere, oggi dobbiamo guardare alle politiche agricole come a politiche di welfare in cui avviene lo scambio città-campagna. Oggi, l’agricoltura e o territori rurali possono guardare a testa alta la città che chiede di fornire cibo sicuro e buono. L’ambito urbano, a sua volta, non è più solo lo spazio dove lanciare qualche sperimentazione agricola minore tipo i pomodori sul balcone, ma è una grande vetrina per il cibo prodotto dai territori rurali, una vetrina dove i consumatori sono sempre più esigenti e svolgono un ruolo di stimolo verso i produttori della campagna. Lo dimostrano progetti come quello del Gac di San Salvario, dove 50 aziende agricole forniscono i prodotti per la vendita al minuto. Oppure il capitolato dell’appalto per le forniture per le mense scolastiche di Torino che rappresenta una grande leva economica verso le produzioni agricole di qualità del territorio”.
La Città metropolitana nasce, dunque, anche all’insegna del cibo. Ma per vincere la sfida dovrà essere non del tutto “metropolitana” e guardare alla campagna senza puzza sotto il naso.
Come ha sempre fatto la Provincia.