Torino: al Salone del Gusto 10.000 orti per l’Africa
Una delle conferenze più importanti e sentite, tenutesi in occasione del Salone del Gusto di Torino e Terra Madre 2014, è stata “10.000 orti per il futuro dell’Africa”, a cui anche Google ha aderito impegnandosi a mappare tutti gli orti coltivati in Africa
«Non si può più svendere la terra africana agli stranieri. La terra dell’Africa appartiene ai giovani africani» ha commentato in apertura Carlo Petrini, Presidente di Slow Food. Gli ha fatto subito eco John Kariuki, vice presidente Fondazione Slow Food per la Biodiversità e coordinatore del progetto 10000 orti in Africa in Kenya “Fare un orto aiuta a risolvere il problema della malnutrizione, a difendere la sovranità alimentare. È vero, 10000 orti in Africa sono solo una goccia nell’oceano, ma con gli orti abbiamo dato il via a una rete forte che cresce e lavora per cambiare il futuro dell’Africa». Un orto Slow Food piantato in Africa, ha continuato Kariuki “Offre ai nostri figli la possibilità di un futuro di pace e giustizia, dove sia garantito a tutti l’accesso a un cibo buono, pulito e giusto. Gli orti hanno un ruolo fondamentale anche perché proteggono e promuovono la nostra agro-biodiversità, perché permettono ai giovani di avere un ruolo importante e di recuperare il sapere degli anziani, perché preservano la nostra terra».
Un orto è anche leva di cambiamento in Paesi devastati da conflitti e che più di altri pagano il prezzo dei cambiamenti climatici. Secondo Mohahed Abdikadir Hassan, coordinatore dei 10.000 orti Somalia: “Coltivare un orto significa fare educazione: la globalizzazione ha cambiato le nostre abitudini e alterato i nostri gusti. Ora è sempre più difficile far consumare prodotti tradizionali e vegetali. Con gli orti entriamo nelle scuole, a partire dai bambini arriviamo alle famiglie, un traguardo per noi importantissimo che ci fa ben sperare per il futuro». Nonostante le difficoltà politiche in Somalia oggi si contano già 54 orti e 4 Comunità Slow Food. Anche lo Zimbabwe è sensibile all’argomento, come racconta Gladman Chibememe, coordinatore del progetto: “Stiamo diffondendo la cultura del passing on the gift: scambiare le sementi e a fine raccolto donarle a qualcun altro perché possa cominciare una nuova avventura agricola”.
Gli orti, inoltre, sono un baluardo contro il land grabbing, l’accaparramento indiscriminato delle terre che priva le popolazioni locali delle risorse fondamentali costringendole all’emigrazione: «Rubare a un popolo il suo terreno è come rubare la sua cittadinanza. L’accesso al cibo non può più essere determinato dalle multinazionali» interviene il sudafricano Themba Austin Chauke studente dell’Università di Pollenzo. La chiosa finale spetta a Edie Mukiibi, vicepresidente di Slow Food: «Per anni ci hanno fatto credere che in Africa fosse possibile solo la monocultura quando invece le specie coltivabili in un singolo territorio sono più di 600, in tutte le stagioni dell’anno, da quelle secche a quelle umide. Quando ho spiegato a mio nonno il mio lavoro mi ha incoraggiato a continuare: i fiori sbocciano anche quando nessuno li guarda e il loro profumo lo potranno sentire tutti, anche a molti chilometri di distanza».