Torino, primo giorno di mensa nell’era del caos panino da casa
Per ora nessun panino da casa. A Torino la prima giornata di servizio mensa per 58.000 scolari nel primo anno scolastico in cui è possibile portarsi il pasto non ha visto genitori utilizzare questa possibilità. L’assessora all’istruzione Federica Patti attende il 27 settembre giorno in cui il Comune elaborerà i numeri delle richieste da parte delle famiglie che pretendono di non avvalersi della mensa in seguito alla nota sentenze a della Corte d’appello. Sarà in quei giorni che si avrà il polso di quanto avrà fatto presa questo nuovo diritto sancito dalla magistratura. E il fatto che la sentenza del “diritto al panino” debba valere per tutte le famiglie e non solo per i 58 genitori che hanno vinto la battaglia legale contro il Ministero è stato ancora una volta sancito, sempre oggi, dallo stesso Tribunale di Torino, che ha rigettato un “reclamo” avanzato dal Miur che intendeva circoscrivere l’effetto della sentenza.
E proprio di mense scolastiche e delle possibili implicazioni sanitarie del consumo di pasto da casa accanto a bambini che mangiano i piatti serviti a mensa si è parlato all’Istituto zooprofilattico di Torino, in un convegno dal titolo “Oggi mangio fuori casa: strategie per un pasto sicuro”. Nei suoi saluti al convegno l’assessora Patti ha parlato di una minoranza a fronte di 36.000 pasti serviti dalle mense ogni giorno nelle scuole dell’obbligo torinesi, una minoranza che ha, da oggi, un diritto, ma che non potrà fare saltare un sistema pubblico di ristorazione collettiva che è un diritto e nello stesso tempo un modo per fare socializzazione ed educazione alimentare.
L’assessore regionale alla sanità, Antonio Saitta, che è anche coordinatore degli assessori alla sanità delle regioni, ha parlato della mensa come di una conquista che è garanzia di equità sociale. Ma, ha aggiunto, occorre cogliere il segnale di questo ricorso in tutti i sensi. Da una parte va preso come stimolo per valutare profondamente gli standard di qualità e la congruità delle tariffe, ma dall’altra va preso anche come un segnale pericoloso di un individualismo che rischia di minare anche altri diritti e in molti altri aspetti della vita pubblica.
Maria Caramelli, direttrice dello Zooprofilattico, e la dozzina di relatori provenienti dagli zooprofilattici di tutta Italia, dalle Aziende sanitarie e dal Ministero della salute, hanno ribadito l’importanza del sistema pubblico per la sicurezza alimentare ma hanno anche tracciato un quadro fatto di norme non sempre chiare ed efficaci.
Tra le relazioni, molto applaudito il lavoro dell’Asl To4, che ha svolto un’indagine complessa fatta di ben 17 azioni diverse, arrivando a capo di un vero e proprio giallo di intossicazione alimentare che ha coinvolto a maggio, tra Mappano e Volpiano, nel Torinese, circa 200 ragazzi che avevano subito sintomi da infezione di Listeria. Proprio il fatto che il pasto sia stato servito in mense scolastiche pubbliche, ha permesso di risalire, dopo oltre un mese di vere e proprie indagini e analisi di laboratorio, a una partita di un salume contaminato. Se in quelle scuole ci fossero stati anche bambini con pasti portati da casa l’indagine sarebbe stata impossibile e ora non ci sarebbe un fascicolo aperto in Procura.
Ora, comunque, Torino deve uscire da questa situazione anche perché il caso del diritto al panino è ormai un caso nazionale. Ci sono genitori che stanno già tempestando di telefonate anche altri Comuni italiani rivendicando per i figli il diritto a mangiare con i propri compagni il pasto portato da casa.
La Camst, la società che gestisce a Torino la maggior parte del servizio refezione scolastica, fa sapere che pulire e sanificare i locali o le zone del refettorio dove mangiano i bambini con pasto da casa ha dei costi che qualcuno dovrà pagare. Inoltre, teme che il fenomeno si allarghi fino a fare crollare il numero di pasti erogati e dunque il corrispettivo pagato. Visti i margini ristretti di utile, sembra che possa bastare anche solo l’1 o il 2 per cento dei bambini che lascino il servizio mensa e questo non sarebbe più remunerativo per l’azienda.
Ma il ginepraio mense non finisce qui. Il Comune eroga il servizio ma non è responsabile dei pasti portati da casa, quindi non potrebbe dare disposizioni alle ditte della refezione scolastica che, d’altra parte si svolge all’interno di norme dello Stato e sotto la vigilanza del personale insegnante che è dipendente dello Stato e non prende ordini dal Comune. Ma il Miur non ha ancora detto come si devono comportare le maestre. I direttori didattici sono i padroni di casa delle scuole e sono loro che si trovano ad affrontare le richieste delle famiglie per poter mangiare il pasto di casa negli stessi banchi dove mangiano i compagni. E lo stanno facendo in ordine sparso, con lettere ai genitori che dettano soluzioni diverse. E sullo sfondo c’è sempre l’annosa questione che vede l’ora di mensa che viene interpretata come un ora di scuola a tutti gli effetti ma dove si svolge un’attività (il pasto) che è un servizio a richiesta individuale.
Un vespaio in cui si è cacciata Torino e tutta l’Italia ma che per la città della Mole è anche una sfida: ancora una volta sarà Torino che si dovrà trovare una soluzione. Le altre città italiane aspettano.