«Stop al riso indocinese», gli agricoltori chiedono la traccibilità
I risicoltori chiedono l’etichettatura obbligatoria per indicare l’origine del riso. Una mossa che dovrebbe servire a scoraggiare l’importazione di risi dal sudest asiatico.
La richiesta è stata sostenuta dalla Regione Piemonte nel corso della riunione a Torino del Tavolo verde del riso, alla presenza dell’assessore Giorgio Ferrero, dei rappresentanti delle associazioni agricole e delle cooperative, del presidente dell’Ente risi Paolo Carrà.
«E’ evidente che l’etichettatura obbligatoria è l’unico provvedimento strutturale che può dare fiato al comparto, che versa in una profonda crisi, e rilanciare il riso piemontese, sul modello di quanto già avvenuto in altri settori: la carne bovina, l’ortofrutta, il lattiero caseario – afferma l’assessore Ferrero -. Solo così si potrà valorizzare il nostro riso e i consumatori avranno finalmente la possibilità di scegliere tra il riso piemontese e gli altri risi presenti sul mercato».
«E’ chiaro – continua l’assessore – che, fino a quando non sarà possibile distinguere tra il riso piemontese e quello proveniente dall’oriente, sarà difficile arginare la crisi per i nostri produttori. Una crisi causata dalla concorrenza del prodotto che proviene da paesi dove il costo della manodopera e l’utilizzo di tecniche di coltivazione critiche sul piano ambientale portano un oggettivo vantaggio nel prezzo del prodotto finale. Lo stesso riso che viene anche confezionato da grossi marchi, spesso italiani, senza dichiararne la provenienza. In questo senso l’attivazione della clausola di salvaguardia avrebbe una sua forte utilità. Per questo è necessario inserire tra i settori che possono goderne anche quello agricolo».
L’Italia è il maggiore produttore europeo di riso, con una superficie dedicata di 234.134 ettari, 7.000 in più rispetto al 2015 (fonte: Ente Risi, 2016), concentrati soprattutto tra le province di Vercelli, Biella, Novara e Pavia.
Secondo buona parte del mondo agricolo, l’importazione dai PMA (Paesi Meno Avanzati) metterebbe a repentaglio il sistema produttivo ed economico italiano. Si è passati da 10.280 tonnellate di riso entrato in Europa dai PMA nella campagna 2008/2009 a 511.648 tonnellate nel 2016/2017 (fonte: Commissione europea, gennaio 2017). Nel 2009 è entrato in vigore l’accordo EBA (Everything But Arms) tra la UE e 49 Paesi Meno Avanzati che ha soppresso i dazi aprendo la strada a importazioni indiscriminate di riso nel vecchio continente, in particolare da Cambogia e Myanmar (ex Birmania). Da quest’anno pure l’Ecuador ha la possibilità di inserirsi a dazio zero con un quantitativo di 5.000 tonnellate.
Confagricoltura chiede un vero e proprio stato di crisi.
«Abbiamo toccato il fondo – afferma Giovanni Perinotti, presidente di Confagricoltura Vercelli e Biella – e la politica non è stata capace di difendere la produzione nazionale».
«Con la richiesta dello stato di crisi al Ministero delle Politiche Agricole – spiega Paola Battioli, presidente di Confagricoltura Novara e VCO – Le nostre richieste sono di porre fine all’import massiccio a dazio zero e di introdurre l’etichettatura obbligatoria, in modo da rendere chiara l’origine del prodotto». Attualmente, infatti, l’indicazione “Made in Italy” può essere apposta anche sul riso confezionato in Italia ma coltivato altrove.