Slow food chiede all’Europa una PAC ambientale
Parte oggi la discussione sulla nuova revisione della storica Pac, la Politica agricola comune dell’Unione Europea. In vista di questo decisivo appuntamento politico che si concluderà dopo un complesso iter, Slow Food Italia chiede che dopo i decenni dei sostegni alla produzione e alla chimica in agricoltura, si cambi passo.
La Politica agricola comune della Ue utilizza circa il 38% del bilancio comunitario, pari a oltre 55 miliardi di Euro all’anno, Soldi spesi male, per Slow food.
«Più che una politica agricola in senso stretto – dichiara Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia – all’Europa serve una politica alimentare capace di rimettere in discussione i paradigmi obsoleti sui quali si è fondata fino a oggi. Se nonostante i processi di riforma che hanno riguardato la Pac, infatti, in Italia dal 2003 al 2013 un’azienda agricola su quattro chiude i battenti, è evidente che le risposte della politica sono state deboli, nonché incapaci di uscire dagli schemi della crisi».
«Ancora più grave – continua Pascale – è che al declino lavorativo del settore primario fa riscontro l’emergenza ambientale e il diffondersi di patologie legate alla cattiva alimentazione, che gravano sui bilanci sanitari per 700 miliardi l’anno. Davanti a noi c’è una grande scommessa che riguarda il futuro del pianeta e delle generazioni che verranno, per questo dobbiamo richiedere a gran voce una Pac dagli orizzonti più ampi che promuova sistemi agroecologici virtuosi, anziché incentivare l’uso della chimica e lo sfruttamento intensivo dei terreni».
Per Maria Grazia Mammuccini, portavoce delle associazioni che, con la petizione portata avanti contro il glifosato chiedono una svolta ecologica nella politica agricola «è possibile agire subito con scelte concrete per una riforma radicale della Pac, perché i primi dati sull’attuazione del periodo di programmazione 2014 – 2020 confermano che questo strumento finanziario dell’Unione europea è iniquo ed insostenibile».
Secondo Slow food, i dati presentati recentemente nell’ambito della Rete rurale nazionale dimostrano infatti che la Pac attuale, attraverso i Piani di sviluppo rurale, assegna a pratiche agricole che consentono l’uso della chimica di sintesi come l’agricoltura integrata e quella conservativa 2,4 miliardi di euro, contro gli 1,7 miliardi destinati all’agricoltura biologica e biodinamica, due pratiche agronomiche che non utilizzano sostanze chimiche di sintesi, ben il 30% in meno.
Secondo i dati diffusi da Slow food in alcune regioni, sommando le diverse premialità, l’importo a ettaro dei contributi è superiore per chi produce facendo uso del glifosato, il diserbante più utilizzato in agricoltura accusato di essere probabilmente cancerogeno per l’uomo, rispetto a chi produce in biologico e biodinamico. Ecco alcuni esempi: in Puglia l’olivo coltivato con il metodo dell’integrato più impegni aggiuntivi ha un premio a ettaro di 426 e in biologico di 377 euro. In Sicilia per le ortive in produzione integrata più impegni aggiuntivi il premio è 660 euro a ettaro e per il biologico 600 euro. In Sardegna per la vite in produzione integrata più impegni aggiuntivi il premio è 587 euro a ettaro mentre per il biologico è 465 euro.
«Con l’attuale crisi strutturale ed economica e con l’affermarsi di nuove sfide sociali in Europa – continua Mammuccini – diventa ancora più importante assicurare che le risorse pubbliche investite con la Pac producano ricadute utili e positive per tutti i cittadini. E’ inammissibile oggi premiare con risorse pubbliche pratiche agricole che costituiscono una minaccia per la nostra salute e per la tutela dell’ambiente. E’ a dir poco paradossale che oggi la PAC garantisca premi all’agricoltura convenzionale, basata sul massiccio uso della chimica di sintesi, in molti casi superiori rispetto a quelli a sostegno dell‘agricoltura biologica».
Un’agricoltura, quella bio, oggi sostenuta non solo dalle ragioni dell’ambiente e dei cittadini ma anche dalla comunità scientifica, che in una ampia ricerca condotta per oltre 30 anni ha dimostrato i maggiori effetti positivi rispetto a quella convenzionale in termini di fertilità del suolo, dispendio energetico, riduzione gas serra, guadagno economico. Conclusioni sostenute da studi indipendenti: per l’Università di Washington l’agricoltura biologica è la «chiave per la sostenibilità a livello globale», per la Royal Society, «aumentare la percentuale di agricoltura che utilizza metodi biologici e sostenibili non è una scelta, è una necessità». E il Parlamento Europeo, in un documento del dicembre 2016, ha riconosciuto che il consumo di alimenti biologici può ridurre il rischio di malattie allergiche e obesità.
Le 45 associazioni italiane prima tra tutte Slow food chiedono dunque al ministro Martina di farsi portavoce nel prossimo Consiglio europeo dedicato all’agricoltura di scelte in favore di un’agricoltura sempre più sostenibile.