Riso, dalla fioritura nascono i nuovi risotti
Come si fa per creare un riso Venere ancora più scuro? Oppure un Carnaroli più resistente alle notti fresche di metà primavera?
Questi sono lavori che si fanno adesso. Questi sono i giorni della fioritura del riso. Un evento naturale che, da circa un secolo, viene sfruttato per produrre nuove varietà.
E’ dal lontano 1925, infatti, che in Italia si producono artificialmente nuove varietà di riso. Un lavoro iniziato alla Stazione sperimentale di risicoltura di Vercelli (oggi Crea) che non faceva altro che riprendere la tradizione delle selezioni in campo, quando, risicoltori più attenti si accorgevano che in risaia era nata una pianta di riso diversa dalle altre e provavano a riseminare solo i semi di quella pianta.
Tanto per dare l’idea di che cosa è l’attività di selezione di nuovi risi, basti pensare che i tipi di riso ufficialmente iscritti nel registro del Ministero dell’agricoltura, sono oltre 200 e che ogni anno, una decina di nuovi risi vengono presentati per l’approvazione.
E allora, come si fa a selezionare un migliore riso da risotto o da sushi? O come si fa a produrre una nuova pianta più resistente alle malattie?
Semplice: si aiutano le piante ad incrociarsi e poi si lascia fare alla selezione naturale. E si fa tutto con forbicine e mani di fata.
Il lavoro di selezione di nuove varietà di riso, in fin dei conti, non è poi così diverso da quello necessario per ogni altro vegetale. E in migliaia di anni non è cambiato nulla: si prende il polline di un esemplare che possiede le caratteristiche che si vogliono rafforzare e si cerca di inocularlo nell’ovario di un fiore da cui nascerà il seme da coltivare.
Della selezione si occupano i “breeder” di un’azienda sementiera. Noi siamo andati a trovare la Sapise di Vercelli.
È un lavoro continuo per creare nuovi risi, sperando in un successo che culmina, come detto, con l’iscrizione nel registro nazionale dei risi da seme e nella commercializzazione.
Un processo che può durare, in tutto, anche una dozzina di anni.
La selezione delle varietà inizia, appunto, con l’impollinazione, una magia della natura che, per il riso, si compie tra la fine di luglio e l’inizio di agosto.
Per comprendere il procedimento che porterà, se tutto va bene, alla creazione un nuovo chicco di riso in vendita negli scaffali dei supermercati o utilizzato dall’industria alimentare, si deve sapere come è fatto l’anonimo fiore del riso.
Il fiore del riso ha già la conformazione che avrà la “pannocchia” con i semi maturi, solo che, nascosto tra le glumelle che faranno crescere il singolo chicco, c’è un meccanismo infinitamente piccolo quanto affascinante che è un mix di prodigi meccanici e biologici.
Chiuso nelle due glumelle c’è il fiore che è composto da un ovario, organo femminile, che culmina con una coppia di microscopiche piumette. Da qui salgono sei pistilli a cui sono attaccate altrettante antere, gli organi maschili che producono il polline.
Il riso è una pianta che si impollina da sé, per autogamia: dalle antere il polline cade nell’ovario, trattenuto e incanalato dalle piumette.
Ma nello 0,1-0,2 per cento dei casi il polline di una pianta vicina va a fecondare un ovario non suo. È così che in natura si incrociano tra loro, lentamente, le specie e le varietà di una stessa specie.
Nell’azienda sementiera si cerca di favorire questi incroci casuali utilizzando le piante con le caratteristiche che si vogliono sviluppare.
In un tunnel-serra, nelle ore più calde della giornata, i ricercatori scelgono le piantine di riso che dovranno dare i nuovi semi.
In un locale a parte, protetto da ugni corrente d’aria, attendono, ben classificate, le pannocchie selezionate con le glumelle già aperte e con le antere cariche di polline.
Un’addetta osserva in controluce tutta la pannocchia della pianta in vasetto, e, chicco per chicco, taglia via con delle normali forbicine da unghie i chicchi che non sono ancora pronti.
Si concentra quindi su quelli dove si vede il fiore chiuso con l’ovario migliore. Qui, sempre uno per uno, taglia la sommità delle glumelle mettendo a nudo il fiore. Poi appoggia il beccuccio di un aspiratore tipo da “dentista” e stacca le antere lasciando solo l’ovario con le sue piumette. In pratica, si “castra” il fiore un attimo prima che il suo polline sia maturo, eliminiamo ogni possibilità che possa fecondare l’ovario.
Poi l’intera pannocchia così preparata viene coperta con un cappuccio di carta ben chiuso.
Quando le piantine sono tutte pronte si passa alla fecondazione vera e propria.
Ciascuna piantina viene portata, una per volta, dentro la camera dell’impollinazione. Qui, la pianta viene protetta da un cilindro ci cartone. Quindi viene presa una pannocchia di fiori, selezionata, che lentamente viene capovolta dentro il cilindro dove c’è la pianta a cui sono stati lasciati solo gli organi femminili. A questo punto viene levato il cappuccio di carta. Poi, si mette sopra il fiore con gli organi maschili e con una scrollatina leggera del fiore si libera una impercettibile nuvoletta di polline da milioni di microscopici granelli. Qualcuno di questi cade sugli ovari preparati e avviene la fecondazione.
Dopo 4-5 giorni si avvia la maturazione dei chicchi. A fine estate i semi maturi vengono immagazzinati e l’annata successiva saranno piantati per la crescita delle prime piantine di ibridi.
La prima generazione contiene al 50 per cento le caratteristiche di entrambi i genitori. Le vere differenze vengono fuori negli anni successivi.
I semi nati dalle piante di prima generazione saranno ripiantati in campo. E così via per le generazioni successive, tutte perfettamente in fila tutte affiancate dal proprio “testimone”, altra piantina frutto di ibridazione.
Da quel momento in poi, anno dopo anno, si osserva, semplicemente il comportamento in campo. Vengono eliminate le piante che non corrispondono alle caratteristiche che si vogliono raggiungere o che non hanno una crescita ottimale, oppure che vengono attaccate troppo facilmente dalle malattie. Si lasciamo crescere solo quelle più resistenti. Si lascia, dunque, fare alla Natura. È la Natura che mette in pratica la selezione che è solo incoraggiata dall’uomo.
Dopo 5 anni la “fila” di piantine assume caratteristiche più stabili. I singoli esemplari crescono tutti allo stesso modo, hanno la stessa resistenza e le stesse esigenze di nutrizione e difesa fitosanitaria. Ma a quel punto il lavoro non è ancora terminato: si è ottenuta solo una “quasi varietà”.
Il seme che, a questo punto, racchiude le peculiarità genetiche desiderate (p.es maggiore produttività, un colore più vivo, più o meno amilosio, una maggiore resistenza alle malattie, una maggiore forza della pianta etc.) viene seminato in campi-prova sparsi in mezza Italia; anche qui in file rigorosamente controllate. Si deve testare la reazione del nuovo riso ai diversi terreni, ai diversi climi, alle diverse tecniche di coltivazione. Un processo che richiede altri 5-6 anni.
Così da 50.000 linee di ibridi, ne rimangono un centinaio; poi solo più una decina.
Ora di questa nuova varietà si devono analizzare le “caratteristiche post-raccolta”, cioè i contenuti del chicco che servono all’industria e alla ristorazione.
Solo dopo aver completato tutti questi procedimenti, che richiedono, come detto, 10-12 anni di sperimentazioni, si decide se iscrivere la nuova varietà al Registro Nazionale. E qui inizia un altro iter, che dura un altro paio di anni, in cui lo staff del Ministero dell’Agricoltura vaglia le caratteristiche della nuova varietà e decide l’iscrizione ufficiale. Solo dopo che il nuovo riso è stato iscritto al Registro nazionale delle varietà di risi si può commercializzare il nuovo seme: solo ora gli agricoltori possono acquistarlo e coltivarlo.
Oggi, lo studio del Dna viene incontro ai selezionatori. I laboratori possono aiutare i breeder a capire dove sbagliano, ma poi i selezionatori devono essere bravi a “mettere in campo” le indicazioni date dalle sequenze del Dna.
E qui servono ancora colpo d’occhio, organizzazione e tanta pazienza.