Riaprono le cucine di Palazzo Reale
Fino a venerdì 13 dicembre, sono nuovamente aperte al pubblico le cucine di Palazzo Reale.
Gli spazi sotterranei recuperati dall’architetto Biancolini sono allestiti così come sono stati trovati, nelle loro versione anni ’30 del Novecento quando nelle cucine reali venivano preparati i grandi banchetti di corte o i pranzi quotidiani per Vittorio Emanuele III e la regina Elena.
Si tratta di una delle poche cucine di palazzi utilizzati dai Savoia che ha mantenuto tutti gli utensili e gli allestimenti, perché in buona parte sono stati nascosti in tempo di Guerra per sottrarli alle distruzioni degli occupanti tedeschi.
E proprio per illustrare lo stato in cui si trovavano i locali cucine e caldaie durante la Guerra sono state lasciate le montagne di sedie ammucchiate nel locale della caldaia per essere bruciate.
“Sono state lasciate così come le abbiamo trovate quando sono iniziati i restauri – ci ha spiegato Enrico Barbero, collaboratore di Palazzo Reale che ci ha accompagnato – Solo un po’ di trattamento antitarlo e basta. Sedie e altri oggetti in legno erano stati accatastati dai tedeschi durante la Guerra per servire da combustibile”.
Le cucine sono due: quella per la famiglia reale e quella per il principe ereditario. La divisione riflette le distinte competenze delle due “case”: la “Casa di Sua Maestà” (la Casa Reale) e la “Casa del Principe ereditario”, che avevano contabilità e bilanci distinti.
Sono dislocate nell’ala est del Palazzo. Hanno grandi stufe tipo putagé e nessun camino. I fumi venivano aspirati e utilizzati per riscaldare i vani scaldavivande. Per mantenere i cibi caldi veniva usato un montacarichi oppure venivano portate lungo un piano di scale. In caso di grandi banchetti, anche da 2500 persone, le vivande venivano passate con il passamano lungo una catena umana di valletti. Il numero dei commensali serviti dalle cucine ogni giorno era comunque di una cinquantina di persone.
I menù venivano decisi dal capocuoco, magari su indicazione del prefetto di Palazzo che riceveva direttamente dal re e dal principe le eventuali preferenze.
Fino al Settecento prevalgono selvaggina, pesce di acqua dolce e cereali. Nell’’800 la cucina si fa più “francese”, pur mantenendo una forte connotazione piemontese. Nel Novecento i menù diventano “Italiani” e internazionali. Da notare che la regina Elena amava particolarmente la trota: è riprodotta una ricetta proprio per cucinare questo pesce di montagna. Nel Novecento continua ad essere apprezzata la cacciagione, accanto alla carne di manzo, alla pasta e ad alcune verdure. Per terminare, venivano serviti uno o due dessert. Ma i menù potevano variare moltissimo e non si è ancora scoperto se esistesse una sorta di “ciclicità”, magari settimanale, oppure se la scelta fosse lasciata alla fantasia del capocuoco.
Accanto ai locali cucina ci sono le cantine. Non sono state trovate bottiglie piene, ma soltanto qualche etichetta. Le bottiglie d’epoca, presenti, sono state fornite dalla Martini e non è un caso che in bella mostra risaltino proprio le etichette d’antan di China Martini e di vermuoth Martini. Ma è comunque ben rappresentato tutto l’universo dei vini piemontesi. I vini piemontesi erano, infatti, i più apprezzati dalla famiglia reale, ma venivano consumate anche buone quantità di vini francesi e di Champagne. Proprio le caraffe e i bicchieri da vino, fabbricate da grandi cristallerie, fanno bella mostra alla fine della visita. Il vino veniva sempre servito in caraffa come retaggio della vecchia usanza dell’assaggio preventivo delle bevande e dei cibi serviti al re, per il pericolo degli avvelenamenti.
Le vivande venivano fornite dall’esterno. A differenza delle residenze sabaude di provincia a Palazzo Reale non c’erano orti e allevamenti. Ogni giorno venivano recapitati cibi (compreso il pane) da parte di numerose ditte di Torino che erano ammesse all’iscrizione in uno speciale Albo dei fornitori della Real Casa. Il sigillo di fornitore della Real Casa poteva essere mostrato anche sulle etichette e sulle insegne (ci sono insegne storiche in giro per la città, che ancora ce l’hanno).
Per conservare venivano utilizzate le ghiacciaie. In questi locali, fino ai primi del Novecento, il ghiaccio si formava con la neve scaricata durante l’inverno nelle ghiacciaie di Palazzo. Poi, il ghiaccio iniziò ad essere prodotto in fabbriche specializzate e fornito come gli altri prodotti. Nelle cucine esistevano frigidaire in legno che venivano “ricaricati” con cubi di ghiaccio industriale per tenere al fresco carne e pesce.
Il lavoro in cucina non era propriamente una passeggiata. I locali non sono molto illuminati e forse l’aerazione non era il massimo; si passava dal freddo delle dispense al caldo delle zone cottura. Qui lavoravano dalle 30 alle 40 persone con turni di lavoro anche pesanti.
Veniva servita una “prima colazione” e poi una “colazione” verso le 12. Il pranzo era alle 18, in perfetto stile piemontese.
La tavola era apparecchiata alla russa, cioè con piatti, bicchieri, centrotavola ma senza vivande. Quelle arrivavano man mano con le portate.
E proprio le stoviglie sono sopravvissute in buona parte alle depredazioni in tempo di Guerra. I visitatori possono ammirare le grandi collezioni di porcellane prodotte da Richard Ginori, Mensen e le grandi case mitteleuropee. In particolare c’è un servizio con fedelissime riproduzioni di uccelli, frutto di veri studi ornitologici; ci sono tutti gli uccelli canori della nostra fauna. Bellissimi.
Il biglietto d’ingresso costa 6,50 euro intero 3,25 euro ridotto.
La visita avviene solo a gruppi precostituiti con ritrovo in biglietteria.
Orari:
- dal martedì al giovedì (guidata dagli Assistenti del Palazzo) ore 10.00 – 11.00 – 12.00 – 14.30 – 15.30 -16.30 – 17.30
- il venerdì (guidate dai volontari dell’Associazione Amici di Palazzo Reale) ore 10.00 – 11.00 – 12.00 – 14.30 – 15.30 -16.30 – 17.30
- il sabato (guidate dai volontari dell’Associazione Amici di Palazzo Reale) ore 9.30 – 10.00 – 10.30 – 11.00 -11.30 – 12.00 – 12.30 – 14.00 -14.30 – 15.00 – 15.30 – 16.00 – 16.30 – 17.00 – 17.30