Pellerino: “Sulle mense solo strumentalizzazioni”
“Sulla qualità delle mense scolastiche c’è stata troppa strumentalizzazione. I problemi iniziati erano dovuti al rodaggio del nuovo sistema. Oggi il servizio è del tutto soddisfacente” .
Per l’assessora all’istruzione del Comune di Torino, Mariagrazia Pellerino, le polemiche su pasti freddi, arrivati in ritardo, sulla frutta troppo verde o troppo “toccata”, sulle pietanze biologiche gettate tutte nella spazzatura da bambini poco avvezzi alle verdure, sono un capitolo chiuso.
“A settembre – ci ha dichiarato Pellerino – sono stati soprattutto i trasporti dei pasti ad avere problemi: si trattava di una ditta nuova, con autisti che faticavano ancora a trovare le scuole. Poi c’erano problemi con le apertura dei contenitori e anche fornitori che temevano di essere multati se non avessero fornito abbastanza verdure a filiera corta. Tutto questo ha comportato disagi e incomprensioni. Ma devo dire che le lamentele sono state molte meno rispetto a 5 anni fa, quando ci fu l’altro cambio di gestione. Le novità hanno sempre bisogno di un certo periodo di tempo per farsi accettare”.
E la grande novità introdotta dalla Pellerino, anche contro quello che allora era il suo segretario di partito, Michele Curto (Sel), è stata la mensa a filiera corta. Una scelta per un’assessora di sinistra come Pellerino non è solo un premio alla qualità piemontese ma è quasi un modo per contribuire a cambiare il mondo.
E così l’assessora all’istruzione si è messa a pensare all’agricoltura. “Qualsiasi amministratore pubblico deve rendersi conto di quali sono le conseguenze di una sua scelta. Sono perfettamente consapevole che se vogliamo un’agricoltura più vicina all’ambiente, se vogliamo cibi più sani, e vogliamo che gli agricoltori traggano il giusto reddito dal loro lavoro, dobbiamo agire su leve economiche. Ad iniziare proprio da un sistema come quello delle mense scolastiche di una città come Torino che fornisce 8 milioni e mezzo di pasti l’anno ed è in grado di muovere un’intera economia di scala. Ecco, abbiamo scelto di orientare questa economia verso la filiera corta e i prodotti biologici in modo da sostenere le aziende agricole piemontesi e italiane”.
Così i critici l’hanno accusata di pensare più al peperone di Carmagnola piuttosto che ai bambini di Torino. “Ripeto, c’è stata una grande strumentalizzazione delle iniziali disfunzioni, ma la nostra scelta è quella giusta. Siamo la prima città italiana a chiedere ai vincitori dell’appalto di rifornirsi da produttori locali che in questo modo sono anche stimolati all’aggregazione per offrire i prodotti nella quantità richiesta. Se si stima che il 75% del prezzo del cibo sia determinato dai vari passaggi di filiera ecco un modo per garantire un prezzo più basso per i prodotti di qualità e un compenso equo ai produttori. Tra l’altro abbiamo avuto riconoscimenti anche dall’Unione europea per la nostra filiera corta”.
Però le famiglie pagano un po’ caro questo sostegno al ritorno a lavorare i campi intorno a Torino. La tariffa è di 7 euro a pasto. “Non è affatto vero che siamo i più cari tra le grandi città italiane e soprattutto non è vero che non teniamo conto della situazione economica delle famiglie. Abbiamo uniformato le fasce Isee fino a 38mila euro, e fino a 8000 euro di reddito Isee si paga davvero poco. Altra città fanno pagare Il tasso di copertura del costo del servizio è comunque soltanto del 75%, l’altro 25 lo mette il Comune”.
Ma si dice che il Comune, in realtà voglia soltanto risparmiare… “Abbiamo un intero apparato che si occupa delle mense scolastiche fatto di addetti amministrativi, addetti ai controlli qualità. Abbiamo convenzioni con l’Università e con il Laboratorio chimico della Camera di Commercio. Non si paga soltanto per i pasti e come si vede non smantelliamo nulla”.
Appunto, nell’ottica della spendig review non sarebbe meglio chiudere tutto? “Io penso che la mensa non solo sia un diritto dei bambini e delle famiglie ma anche che sia un formidabile strumento educativo. Non possiamo rinunciare non solo a fornire pasti a prezzi accessibili ma anche ad educare all’alimentazione sostenibile. Quando sono stata a mangiare all’asilo con i bambini mi hanno detto che a casa mangiano un trancio di pizza, un toast, cibi pronti. Per questo li portiamo nelle fattorie, li portiamo a visitare i centri di cottura e stiamo portando avanti un progetto con le classi delle scuole dove abbiamo verificato che ci sono più scarti, per far scrivere proprio ai bambini il menù”.
Ma allora perché non cucinare a scuola? Perché non fare in tutte le scuole come si fa ai nidi e negli asili, dove ci sono le cucine interne e i pasti non arrivano con il furgone? “Perché le scuole non hanno i locali idonei per realizzare le cucine. Pensi che, visto che passeremo alle stoviglie pluriuso, abolendo i piatti di plastica, volevamo mettere delle lavastoviglie per lavare i piatti a scuola. Invece, torneranno sui furgoni per essere lavati nelle sedi delle ditte delle mense perché nelle scuole non c’è posto nemmeno per le lavastoviglie. Altro che posto per le cucine. Magari si potrà pensare di realizzare i locali cucina nelle scuole nuove, ma per ora la situazione è questa”.