Orlando e Martina: “Pronti ad approvare la riforma dei reati alimentari”
Il Consiglio dei ministri licenzierà presto il disegno di legge di riforma dei reati alimentari consegnato nel settembre 2015 dalla Commissione Caselli incaricata di aggiornare il codice penale in materia agroalimentare. L’impegno è stato preso il 14 marzo nel corso della conferenza di presentazione del quinto rapporto sui crimini agroalimentari da tre ministri, tra i più importanti, politicamente parlando, del governo Gentiloni: Andrea Orlando, ministro della Giustizia e Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura, appoggiati da Marco Minniti, ministro dell’Interno.
L’ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli, era stato incaricato, proprio dal ministro Orlando, nel suo primo mandato sotto il governo Renzi. Caselli che è anche direttore scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare messo in piedi dalla Coldiretti, aveva presieduto una commissione di giuristi ed esperti che aveva varato un progetto di riforma di 49 articoli. La necessità di adeguamento di quella parte del codice penale che riguarda le frodi alimentari e i delitti contro la sicurezza alimentare era stata segnalata da magistrati, forze dell’ordine, associazioni, enti sanitari. Il concetto cardine del nuovo indirizzo sarà colpire l’azienda che commette il reato e non solo l’amministratore, che magari è un prestanome. Penalizzando l’attività produttiva, anche con una sospensione delle attività, si colpiscono gli interessi economici degli autori di fondi, sofisticazioni e adulterazioni: una circostanza temuta molto più di una semplice denuncia personale. Gli imprenditori disonesti accettano anche l’eventualità che si possa passare qualche guaio con la giustizia ma a patto che gli affari vadano comunque avanti. In questo modo, chi commette reati contro la fede pubblica o la salute pubblica (che spesso sono la stessa cosa), sa che non se la caverà con la nomina di un avvocato e un lungo processo con scarse conseguenze sulla fedina penale, ma rischia di perdere produzione e clientela.
Proprio questa maggiore incisività delle nuove norme varate dalla Commissione Caselli, potrebbero essere alla base del ritardo di un anno e mezzo con il quale gli stessi ministri di allora annunciano oggi di volere sbloccare l’approvazione a Palazzo Chigi e mandare il Ddl in Parlamento per la sua definitiva approvazione. Una parte dell’agroindustria e dell’artigianato alimentare temono che le nuove norme complichino la vita anche a quegli imprenditori che possono sbagliare ma che non sono normalmente dei truffatori e dei criminali. Va detto, però, che Orlando e Martina, hanno anche dedicato questi mesi all’illustrazione del testo alle associazioni di categoria, in modo da giungere, il più possibile a un Ddl condiviso.
Sta di fatto che la riforma dei reati alimentari sembra essere a una svolta.
Giancarlo Caselli ha più volte chiesto che la riforma venisse sbloccata. Lo ha chiesto, tra l’altro dal palco del Festival del giornalismo alimentare di Torino rivolgendosi, in particolare, al ministro Orlando che gli aveva commissionato il lavoro. Il forte peso politico, all’interno del Partito democratico e quindi nel governo assunto oggi dallo stesso Orlando e da Martina, in vista del congresso, lascia ben sperare su quella che lo stesso Caselli ha definito una “potenza di fuoco nel governo”.
A dare l’idea della posta in gioco ci ha pensato proprio il quinto rapporto sulle agromafie realizzato da Eurispes e dell’Osservatorio sulla criminalità agroalimentare su incarico di Coldiretti. Il rapporto stima che nel 2016 il volume d’affari annuale dell’agromafia e della criminalità che fa affari con il cibo abbia raggiunto la cifra vertiginosa di 21,8 miliardi, con una crescita di addirittura il 30% rispetto al 2015.
«Le mafie hanno oggi la tendenza ad ridurre le attività più violente per cercare di entrare nel tessuto economico del Paese per riciclare il denaro e fare altri profitti – ha spigato Caselli – Per questo disegno, il settore agricolo e alimentare è quello che dà le maggiori garanzie di volumi d’affari e di radicamento nel territorio. La criminalità entra così in un settore economico che vale il 19% del fatturato produttivo italiano e impiega il 12% della manodopera totale».
Un tessuto capillare di aziende agricole, artigianali e commerciali che è molto attrattivo per la mafia, che da sempre ha l’ossessione del controllo del territorio. In particolare, come ha ricordato il ministro Minniti, «Cosa Nostra si sta specializzando nella partecipazione finanziaria nelle società della grande distribuzione; la camorra è più forte nell’acquisto di aziende agricole e nella conduzione delle aziende di trasformazione. Ma l’adattamento più sorprendente lo osserviamo con la ‘ndrangheta che si sta specializzando nel fare incetta di finanziamenti europei».