L’olio moderno è verde e pizzica, perché le olive non sono mature
Fine novembre è stagione di olio nuovo. Punto di arrivo di un’annata di fatiche che culmina con un raccolto che, negli ultimi anni, si tende sempre più ad anticipare verso i primi di novembre o, addirittura a fine ottobre.
Anche per questo, si può proprio dire che l’olio d’oliva non è più quello di una volta. Non nel senso che sia peggiorato. È semplicemente un altro olio.
Il contadino toscano, ligure o calabrese, fino a 40-50 anni fa, faceva l’olio da olive completamente mature, raccolte a fine dicembre, raccogliendo anche quelle già cadute. Ne veniva fuori un olio d’oliva giallo e senza particolare gusto, l’olio che tutti hanno conosciuto fino alla generazione degli attuali quarantenni.
Oggi l’olio d’oliva è verde, profuma di frutta fresca e “gratta” un pochino in gola. Questo perché viene raccolto quando le olive non sono ancora del tutto mature. L’olio del nuovo millennio deriva da olive che sono appena giunte al momento dell’“invaiatura”, un termine agronomico usato per definire l’inizio della maturazione. Un’oliva invaiata non è più completamente verde: la clorofilla inizia a cedere il passo ai pigmenti scuri della maturazione. Il colore dell’oliva matura varia a seconda della varietà e tendenzialmente, le olive da olio, a gennaio possono arrivare al colore marrone o nero. Per la frangitura vengono, invece, raccolte quando dal verde iniziano a virare verso il biancastro con parti che iniziano a pigmentarsi tra il rosso mattone e il marroncino. Ma il 70% delle olive deve ancora essere piuttosto verde.
Perché si raccoglie un’oliva invaiata e non matura?
C’è una ragione di lotta integrata alla famigerata “mosca dell’olivo” che buca le olive che iniziano la maturazione per fare sviluppare la larva dentro il frutto più ricco di zuccheri e con meno acqua. In questo modo si evitano ulteriori irrorazioni di antiparassitari.
Ma la ragione principale è biochimica.
L’invaiatura è il momento in cui il frutto raggiunge il massimo di olio nei microscopici vacuoli della polpa e, nello stesso tempo, raggiunge il massimo accumulo dei polifenoli. È una fase, in cui, l’oliva, ha ancora un’alta percentuale di acqua, ma l’olio c’è già tutto. Lasciarla maturare non porterebbe a una produzione maggiore di olio ma solo a un aumento di perossidi, indice di ossidazione, e alla perdita dei preziosi polifenoli. Questi composti (ne esistono migliaia in natura), erano considerati inutili fino a qualche decennio fa. Oggi si sa che sono antiossidanti potenti per contrastare l’ossidazione dei grassi dell’olio, che, infatti, con i polifenoli passa da pochi mesi a oltre un anno di conservazione. Con i polifenoli l’olio, dunque, si conserva più a lungo ritardando l’irrancidimento. E poi i polifenoli sono da poco al centro dell’attenzione delle scienze dietologiche perché si è scoperto che, una volta metabolizzati reagiscono con i radicali liberi inibendo l’azione che accelera la senescenza delle cellule.
Non stiamo dicendo che usare olio d’oliva allunghi la vita, ma che l’olio viene prodotto seguendo le indicazione di un mercato sempre più attento alle scoperte delle scienze nutrizionali e cercando di ottenere un prodotto che si ossidi il più lontano possibile dalla raccolta e dall’oliatura.
Dunque, compreso quando si devono frangere le olive, passiamo a come si fa l’olio.
Per capirlo abbiamo visitato l’azienda Bova, di Amaroni (CZ) www.oliobova.it sulle colline che sovrastano il golfo di Squillace, dove si coltivano le olive di varietà Carolea.
La resa del raccolto, come spesso accade in agricoltura, è molto più bassa di quel che si pensi. Dalle olive solo un 15% di peso diventa olio. Qui, però, il prodotto è rappresento anche dai noccioli che non contengono olio e quindi non rappresenterebbero una parte produttiva ma solo un costo per l’aumento del peso delle morchie da smaltire. Invece il nocciolo viene staccato, viene seccato, insacchettato e venduto come combustibile per le stufe a pellet più moderne.
Il processo che porta all’olio è invece tutto mirato a frangere il meglio possibile la polpa, ottenere la migliore sgocciolatura delle goccioline di olio, utilizzando tecniche che non aumentino troppo la temperatura del prodotto per non favorire l’ossidazione. Soprattutto si deve fare assolutamente in modo che all’olio non sia trasferito nessun odore che non sia quello delle olive. Per questo si separano dai rametti e foglie all’aria aperta. Niente olive nei sacchi di iuta, niente trattori con il motore acceso in fila per conferire le olive, scarpe pulite e nessuno deve fumare vicino alle olive.
Poi inizia il delicato lavoro del frantoiano che consiste nell’armonizzare le caratteristiche organolettiche dell’olio cercando di fare tutto per bene. In frantoio, quando inizia la produzione, non ci si ferma mai. Le olive non devono stare troppo ad attendere il proprio turno, prima le frangi e meglio è.
Per prima cosa, vanno perfettamente eliminate le foglie, poi si lavano le olive e si passano nelle macine, facendo attenzione non scaldarle troppo. Successivamente avviene la “gramolazione”, in apposite vasche chiuse all’aria, dove per una ventina di minuti a circa 25 gradi di temperatura, quella che viene definita spremitura a freddo, che favorisce l’aggregazione delle goccioline grasse rompendo l’emulsione acquosa dalla frangitura. Se si alza la temperatura si ottiene più prodotto ma si uccidono i polifenoli. L’olio, quindi, sale verso l’alto ed esce da fori per movimento centrifugo mentre una coclea toglie la pasta d’olive che qui viene poi utilizzata come fertilizzante. Poi, attraverso separatori verticali vengono eliminate altre impurità fino a quando l’olio non viene stoccato nelle cisterne che contengono azoto che fa in modo che l’aria non entri mai a contatto con l’olio.
Dopo un paio di mesi, si eliminano ancora i sedimenti e si è pronti per l’imbottigliamento, avendo sempre cura di aggiungere un po’ di azoto in modo da tenerlo sempre separato dall’arie che lo ossiderebbe.
Una volta portata a casa, la bottiglia non va mai lasciata al caldo (per esempio vicino a fornelli) e, una volta aperta, l’olio va consumato, diciamo, entro un mese.