Le Dop sono troppe e sono in mano alle multinazionali
La Denominazione d’origine protetta (Dop) è in crisi? Cheese prova a rispondere alla domanda ponendone un’altra. Il futuro delle Dop è nelle mani dei giganti? è infatti l’interrogativo scelto per intitolare la conferenza dedicata a una certificazione messa in discussione a partire dal libro-inchiesta di Véronique Richez-Lerouge, giornalista e presidente dell’Association Fromages de Terroirs.
L’inchiesta rivela come i due terzi dei formaggi francesi protetti dalla Aop siano nelle mani delle grandi industrie, che poco hanno a che fare con il terroir e spesso spingono i piccoli caseifici a chiudere i battenti. Molte aziende francesi sono state acquisite da grandi multinazionali tra cui Lactalis, Sodiaal, Eurial e altre, che ora stanno producendo le storiche Aop. «Prendiamo ad esempio il Camembert» spiega l’autrice durante l’incontro. «Oggi il 50% della sua produzione è in mano a una sola grande azienda. In questo modo i formaggi a latte crudo cadono vittime della stessa standardizzazione che vogliono evitare». Insomma, l’acquisizione da parte delle multinazionali sta creando molta confusione. «L’intento del libro è quello di far conoscere ai consumatori chi c’è dietro i marchi, così da rendere trasparente l’intrusione delle grandi aziende».
Non solo. Il libro di Richez-Lerouge pone anche l’attenzione sul progressivo svuotamento di valore delle Dop, come testimonia durante la conferenza Joe Schneider, del Presidio dello Stichelton. Questo formaggio inglese nasce proprio in seguito a una disputa con il marchio di tutela europeo: nel Regno Unito esiste una Dop per lo Stilton, un formaggio vaccino storico che dal 1989 non usa più il latte crudo. «Paradossalmente, se nello Stilton ci mettiamo un ananas, per la Dop quello rimarrà sempre Stilton. Ma se usiamo latte crudo no» spiega l’ospite britannico. «Noi abbiamo avviato un progetto per riportare in auge un prodotto come vuole la tradizione, quella vera. La Dop dovrebbe riconoscerci questo sforzo, e invece la Commissione Europea non ci ascolta. Così abbiamo cambiato nome al nostro formaggio che da Stilton è diventato Stichelton».
Chiamata in causa, il parere della Commissione Europea è affidato direttamente a Branka Tome, vicecapo unità delle Indicazioni geografiche. «Il nostro compito è quello di far rispettare le Dop esistenti. Non è impossibile modificare un disciplinare, purché sia l’intero territorio coinvolto a volerlo. Proprio perché le Dop tutelano il territorio, è necessario che siano considerate le posizioni di tutti gli attori locali». Secondo i dati della Dg Agricoltura, cita Tome «in Europa i prodotti tutelati – 3400 in tutto, tra marchi Dop, Igp e Stg – rappresentano una fetta di mercato che vale 75 miliardi di euro. Le Dop creano occupazione e valore economico dando la possibilità a tutti i produttori, grandi e piccoli, di inserirsi nelle diverse economie di scala».
Lo sa bene il Parmigiano Reggiano, di sicuro il formaggio italiano a latte crudo più famoso a livello mondiale. «Da 800 anni il Parmigiano si fa in un terroir ben specifico, una porzione di territorio limitata perché lì, e solo lì, c’è una composizione del terreno particolare, che conferisce al Parmigiano il suo caratteristico gusto e aroma» racconta Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. «Il Parmigiano ha fatto da volano economico per il nostro territorio. Le sfide che ci riguardano sono altre e vanno dal sostegno del prezzo delle materie prime al contrasto delle imitazioni». Su questo Bertinelli è chiaro: «Le certificazioni devono basarsi sull’autenticità. Ad esempio il nostro disciplinare prevede che il foraggio somministrato ai bovini provenga per il 75% dal territorio di produzione locale. Perché non il 100%? Perché non sarebbe possibile, soprattutto in questo periodo di forte siccità». E sull’ingerenza delle multinazionali, Bertinelli non è preoccupato: «Perché queste diventino davvero padrone delle Dop, dovrebbero appropriarsi anche dell’intero terroir».
«Se il sistema delle Dop è in crisi aiutiamolo, tutelando i produttori di piccola scala, come ci insegna l’esempio del Presìdi Slow Food» aggiunge Carlo Hausmann, assessore all’Agricoltura della Regione Lazio: «In Italia abbiamo tantissime Dop non rivendicate dai produttori. Questo succede perché quelle certificazioni non riconoscono un valore aggiunto alla categoria, né ai produttori né al mercato intero. Sfoltiamo il numero di Dop, piuttosto, concentrandoci su quelle che avvalorano la nostra biodiversità e che creano ricchezza».