Latte di soia e di riso bocciati dalla Corte Ue
La Corte di giustizia europea boccia il “milk sounding”, l’attribuzione di nomi lattieri ai prodotti di origine vegetale.
Non potranno più essere attribuiti ai prodotti di tofu, soia e riso le diciture “formaggio di…”, “latte di…”. Entro poco tempo i prodotti che portano ancora queste diciture dovranno essere smaltiti o comunque rimossi dagli scaffali e le tantissime ditte che commercializzano prodotti per vegetariani che “sembrano” latte o formaggio dovranno scegliere altre denominazioni sulle etichette. Lo stesso dovranno fare i ristoranti e i locali che vorranno continuare a servire la clientela vegana.
Negli Usa si scatenano da tempo le azioni giudiziarie contro i nomi derivati dalla carne (il meat sounding) e contro i nomi derivati dal latte una battaglia del mondo zootecnico contro le strategie di marketing delle aziende di cibo vegano e vegetariano che, per fare “passare” tra i consumatori i prodotti a base di soia o riso, gli danno un’apparenza simile ai derivati da carne e latte e gli attribuiscono nomi come “hamburger vegetale”, “latte di soia”, “formaggio vegetale” etc.
La battaglia, dapprima americana, è da poco arrivata anche in Europa ma questa sentenza è già storica, a riprova della maggiore attenzione per la tutela dei consumatori che abbiamo qui nel Vecchio Continente.
Ma, attenzione, la Corte non boccia i prodotti vegani. La sentenza è per difendere la libera scelta dei consumatori che potrebbero essere tratti in inganno dalle diciture delle etichette.
La Corte ha così affermato che “i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale”: lo ha stabilito la Corte di Giustizia della Ue. “Ciò vale anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione”, aggiunge la Corte.
In realtà, l’Ue consente le denominazioni, ormai storiche, di “latte di cocco”, “latte di mandorle”, “burro di cacao”, che ora potrebbero anche essere messe in discussione.
Per i prodotti vegani potrebbe aprirsi una crisi di consumi. Primo perché molti di questi hanno già una denominazione conosciuta dal pubblico che richiama il prodotto animale: un nuovo nome fa sempre fatica a decollare, è quindi prevedibile, perlomeno, un periodo di disorientamento del mercato. Secondo, perché sarà necessario attribuire denominazioni che richiamano prodotti spesso dall’immagine esotica o elitaria: tutto il contrario dell’immagine “casalinga” e “popolare” dei nomi che richiamano il latte e il formaggio. Chi è già consapevole della scelta vegana continuerà a fare la sua scelta, e lo stesso, naturalmente, faranno gli intolleranti al latte che trovano un’alternativa nei “succhi bianchi” vegetali, ma sarà più difficile avvicinare nuovi consumatori alle bevande bianche Veg.
Le denominazioni, insomma, saranno un tasto, questa volta davvero delicato e sarà interessante le strategie di naming che seguiranno le industrie del settore veg.
Il movimento vegano, intanto, non si scompone. «L’avanzata dei prodotti 100% vegetali è inarrestabile – afferma Paola Segurini, responsabile Lav area scelta vegan – e ha caratteristiche concrete: non la fermeranno un nome o un’etichetta o una sentenza».