Lars Charas, «Noi chef decisivi contro la fame nel mondo»
«Anche noi chef possiamo contribuire al contrasto della fame nel mondo. Come? Provando sempre nuovi piatti con nuovi ingredienti ancora poco coltivati o allevati, più resistenti ai cambiamenti climatici e alla siccità, più adattati alla salinizzazione e più ricchi di sostanze nutritive».
Parola di Lars Charas, chef olandese che considera il suo lavoro in cucina un modo per impegnarsi a favore del Pianeta.
Lars ha fondato Feeding good ( http://www.feedinggood.com ) e ha lanciato il progetto Feed the Planet, di cui è project manager per la World Association of Chefs Societies: «una grande operazione – spiega – che punta a coinvolgere entro il 2020 un milione di chef in 50 paesi per scovare e rendere appetibili nuovi ingredienti in modo da «assicurare alle future generazioni l’accesso a un’alimentazione sufficiente, sana, gustosa e diversificata».
Lars ha parlato al Festival del giornalismo di Perugia ad un incontro organizzato dall’International Fund for Agricultural Development sugli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro modo di mangiare insieme a Marco Cattaneo, direttore dell’edizione italiana del National geographic e Jacopo Morzini, capo progetto della Ifad.
«La crescita della popolazione mondiale, ma soprattutto i cambiamenti climatici, ci impongono di cambiare il nostro orizzonte alimentare – osserva lo chef olandese – Non possiamo continuare a dipendere da un pugno di ingredienti. Allora, la nostra missione di cuochi è rendere “cibo” appetitoso piante, organismi marini, insetti ancora poco conosciuti nelle culture alimentari».
Così, se in molte zone della Terra piove meno ed è sempre più difficile coltivare piante come il mais che richiedono un grande utilizzo di acqua, oppure, se nei delta dei grandi fiumi avanza la salinizzazione che fa sparire le specie ittiche pescate da millenni dalle popolazioni locali, l’invito ai cuochi è unirsi per “trattare” nuovi cibi.
«Mi ha colpito molto il caso di un grande cuoco cinese, che due anni fa, con l’invasione delle alghe che ha soffocato il mare della Cina, ha deciso di proporre interi menù a base di alghe. Così, un problema può diventare una risorsa. In ogni caso, abbiamo troppe specie vegetali e animali sottoutilizzate, da cui potremmo ricavare ottimo cibo se imparassimo a cucinarle nel migliore dei modi».
Larsen non è solo. Anche in Italia ci sono cuochi che provano nuove materie prime come gli insetti o come i fiori, ma, in generale siamo ancora nel campo della curiosità che “fa notizia” e che sostiene un evento promozionale. Come il caso delle meduse cucinate da Gennaro Esposito a Napoli, per l’associazione Marevivo ( http://bit.ly/1zChHoY ) . Qui, il punto era: se nel Mediterraneo ci sono sempre più meduse a causa del riscaldamento delle acque e della rarefazione dei tonni e di altri pesci predatori, allora proviamo a mangiare anche noi le meduse. Il risultato? Le meduse sono piaciute, al pari dei frutti di mare e per qualche napoletano ora non sono più il tabù dei tabù alimentari.
Ma perché per diffondere nuovi cibi ci vuole la passione di un cuoco? Non basta la ricerca dell’industria alimentare?
«Perché solo una professionista che deve tutti i giorni soddisfare il gusto delle persone può fare diventare un potenziale alimento un vero cibo. Un esempio? Con un collega olandese abbiamo provato a realizzare nuovi oli, utilizzando semi poco conosciuti. Con la spremitura è avanzata una poltiglia che conteneva grandi quantità di proteine, grassi e altre sostanze nutritive preziose. In questi casi, per l’industria alimentare il problema è riuscire a vendere questo scarto (apparente) all’industria dei mangimi alimentari. Noi, invece, ci siamo accorti che appena 150 grammi di questa polpa sono sufficienti per nutrire una donna incinta, magari una donna che vive in Africa. Cioè, abbiamo capito che, con un prodotto dal costo di appena mezzo centesimo di euro, si può alimentare una persona sottonutrita in un momento in cui ha un grande bisogno di un’alimentazione completa. Allora, ci siamo posti il problema di come “cucinare” quella poltiglia. Così, stiamo sperimentando preparazioni che possano diventare dei veri piatti da cucinare tutti i giorni. Questo, partendo da una materia prima che oggi non viene considerata per il consumo umano».