L’alimentare ci aiuta a uscire dalla crisi
Le Pmi del settore alimentare chiedono politiche per uscire rafforzate dalla crisi. Le piccole imprese cercano maggiore flessibilità nel lavoro, maggiore accesso al credito e più strumenti per entrare nei mercati emergenti. La sfida è uscire dalla crisi anche grazie a un settore che sta rivelando attitudini sorprendenti verso le esportazioni.
L’alimentare, infatti, tira ma solo perché ci sono le esportazioni del Made in Italy, e il Piemonte non fa eccezione. Secondo l’ultima indagine Ismea realizzata con Gfk-Eurisko nei primi nove mesi del 2013 la spesa per alimenti e bevande ha subito una riduzione di quasi il 4% su base annua, la peggiore dall’inizio della seconda ondata recessiva ancora in atto.
“Nella situazione devastante in cui ci troviamo – ha osservato in proposito Corrado Alberto, responsabile alimentaristi di Api Torino – tutto sommato il settore ha tenuto. Ma la crisi sta sicuramente selezionando le imprese. Chi si barcamenava senza una particolare specializzazione, magari puntando solo sui grandi numeri, viene colpito più duramente. La contrazione dei consumi, che nella Grande distribuzione arriva al 5-6% tocca meno le produzioni di qualità, dove contano la cura per la scelta delle materie prime e per le lavorazioni ma anche l’innovazione e la ricerca di prodotti nuovi”.
Insomma, quelle piccole imprese alimentari torinesi che mantengono la ”cultura del gusto”, la mania per gli ingredienti di qualità e la cura tipicamente artigiana, si ricavano loro nicchie di mercato interno e vedono aprire i nuovi mercati dell’export.
Alberto è titolare la marchio “caffè Alberto”, miscele che confeziona nel suo stabilimento di Caselle. “Ogni prodotto alimentare ha un po’ il suo mercato. Ma quello che contraddistingue tutti gli imprenditori del cibo e delle bevande di qualità è la continua ricerca del “gusto”.
Un misto di tradizione (che non va snaturata) e di innovazione che cerca di creare nuovi mercati di nicchia. Senza dimenticare la ricerca. Per avere prodotti di qualità è importante trovare soluzioni sempre nuove a problemi come la conservazione, il mantenimento delle fragranze, delle consistenze. E la tendenza, oggi, è ridurre gli additivi per aumentare la qualità. Queste soluzioni sono adottate dalle imprese che sanno innovare senza snaturarsi”.
Produrre alimenti a Torino ha sempre più un certo valore aggiunto. “Il nome di Torino è oggi molto più conosciuto di un tempo ed è sempre più associato al buon cibo. Operazioni come quella di Eataly, del Salone del Gusto, hanno fatto di Torino una specie di capoluogo della qualità alimentare. E il settore è sempre più rappresentato, proprio nel segmento piccole imprese. Non a caso, quest’anno, il premio “chiave a stella” è andato anche un’azienda alimentare, la Pariani srl, della famiglia Pariani, che produce creme e paste di pistacchi e nocciole.
Ma ora serve anche il sostegno della politica. “Deve crescere la spinta all’internazionalizzazione e va spinta la capacità di mettersi in rete per fare entrare le piccole imprese del gusto nei mercati esteri che contano, come Usa e Cina. C’è bisogno di una formazione più specifica (per esempio mancano i macellai) e va intensificata la collaborazione con gli istituti di ricerca come Università e Politecnico. E soprattutto serve un diverso mercato del lavoro che venga incontro alle esigenze stagionali del settore alimentare introducendo elementi di maggiore flessibilità. E poi deve tornare il credito delle banche, altrimenti non sarà possibile continuare degli investimenti”.
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