La storia di Acquerello, quando un riso può essere glam
Riso Acquerello e Slow Food ancora insieme per promuovere il consumo del riso di qualità, iniziando dai bambini. Oggi, 21 ottobre, ad Expo è stato presentato il progetto “Mercoledì riso” che invita le scuole d’Europa a preparare un piatto di riso. Un vero e proprio concorso ha permesso alla classe V della Scuola elementare Collodi di Treviso (Italia) di presentare la propria esperienza nel cuore dell’Esposizione universale. Si tratta di una classe straordinaria, composta da 20 bambini di 16 nazionalità diverse: Albania, Algeria, Burkina Faso, Cina, Congo, Ecuador, Ghana, Guinea, Italia, Kossovo, Macedonia, Moldavia, Nigeria, Romania e Senegal.
Il progetto ha comunque coinvolto 1895 studenti di 4 continenti, 180 insegnanti, 103 classi, di 13 Regioni e 32 Province Italiane che si sono impegnati a realizzare una ricerca sul riso e poi a creare una ricetta a base di riso che avrebbero voluto inserire nel menù della loro mensa, almeno una volta alla settimana, a partire dall’anno scolastico 2015/2016.
Alla presentazione, nel padiglione Eataly di Expo hanno aderito, tra gli altri, Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, Inge Feltrinelli, che con Gian Giacomo fondò la Feltrinelli, Francesca Rocchi, vicedirettore di Slow Food e Valentina De Poli, direttrice di Topolino.
Il progetto si inserisce nel quadro consolidato di collaborazione tra Riso Acquerello e Slow Food. La storica cascina del Torrone della Colombara, nell’omonima frazione di Livorno Ferraris (VC), è, infatti, sede didattica specialistica dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo (Bra).
Qui, dove inizia la enorme distesa di risaie del triangolo risicolo italiano la famiglia Rondolino, che possiede la tenuta risicola dagli anni ’30, ha scelto di continuare a fare impresa agricola ma nel segno della più profonda innovazione.
«Da 15 anni coltiviamo il Carnaroli che è un riso che fino a pochi anni fa era diffuso soltanto in Lomellina – ricorda Piero Rondolino – Il Carnaroli è oggettivamente il miglior riso da risotto, allora la nostra sfida è stata quella di puntare sul piatto della tradizione, dove la cucina si fa esigente, per arrivare a un prodotto speciale, davvero unico».
Oggi l’azienda agricola dei Rondolino è una piccola bandiera del Made in Italy, in un campo così difficile come quello dello sterminato mercato del riso. Piero, con la moglie Maria Nava e con i figli Rinaldo, Umberto e Anna gestisce oggi un marchio costruito sulla tecnologia che ha risposto alle esigenze del mercato e soprattutto costruito dal marketing e da continue operazioni di immagine per dimostrare che il riso da prodotto per il consumo di massa può diventare un alimento di fascia alta.
Parlare con Piero Rondolino significa immergersi in una lezione pratica di economia d’impresa. Altro che retorica dell’attaccamento alla terra dei padri o del vivere bene in campagna. «Fare riso rende, ma se si riesce a stare dentro un mercato che è sempre più competitivo. Quando abbiamo iniziato, per esempio, quasi nessuna cascina risicola aveva una riseria, cioè l’impianto dove di sbianca e insacca il riso. Noi siamo stati tra i primi a scommettere sulla gestione diretta di tutta la filiera, per fare noi il prezzo del nostro lavoro e non dipendere da altri».
E così si scopre che per un contadino le sfide sono le stesse dell’imprenditore, che anche lo statico e frammentato mondo dei campi è, in fin dei conti, inserito in un sistema competitivo dove occorre sempre innovare. Così, arriva la scelta del migliore riso da risotto ma soprattutto la scelta di invecchiare il riso. Con un prodotto “affinato” da una stagionatura in silos (di oltre un anno, almeno), si riesce a ottenere chicchi che tengono meglio la cottura: prima risposta a uno dei problemi più sentiti dai ristoratori, che sostengono che il risotto sia un piatto difficile perché non si riesce mai ad ottenere chicchi al dente.
Così, i Rondolino hanno ottenuto un riso che cuoce più lentamente ma che non ha bisogno della tostatura, fase, finora, fondamentale nella preparazione del risotto.
Ma sul mercato si affacciava l’esigenza di un riso più nutriente, che potesse fare concorrenza al parboiled, il sistema di trattamento che lascia al chicco sbiancato molte delle sostanze contenute nella lolla (la pula del riso). Inoltre, si diffondeva la consapevolezza che il riso integrale, cioè lasciato il più possibile con la parte esterna del chicco (il pericarpo), fosse più nutriente.
Così, è nata l’idea di riprendere una vecchia tecnologia che, con un sistema di sbiancatura a elica, molto più delicato, permetteva di separare meglio la gemma dal chicco. «La gemma è quel microscopico puntino bianco che, se il chicco viene piantato, da germe diventerà poi germoglio. È l’embrione della giovane pianta che per avere la forza di svilupparsi è pieno di sostanze nutritive. Nella sbiancatura tradizionale, che avviene sempre per processi meccanici di smerigliatura, le piccole gemme si staccano dai chicchi. Una volta venivano raccolte con setacci e destinate all’alimentazione animale. Invece noi abbiamo deciso di “rimetterle” nel riso e di restituire così al riso quelle sostanze nutritive di cui la gemma è ricca».
Così nasce l’idea del “riso con la gemma”, quello che è oggi quel Riso Acquerello che ha reso famosi i Rondolino. Funziona così: siccome la gemma è oleosa e dunque grassa, i chicchi invecchiati e sbiancati delicatamente, vengono immessi in contenitori rotanti riscaldati, dove vengono poi immesse anche le gemme che erano state setacciate durante la sbiancatura. Con il calore e il movimento le gemme letteralmente si ammollano e si incollano ai chicchi che incorporano così le preziose sostanze che tradizionalmente andavano perse. «Non è stato facile trovare la tecnologia e le temperature giuste ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ma, anche se avevamo la sensazione di avere tra le mani un prodotto eccezionale, mancava il lancio sul mercato».
C’era il problema che, con la gemma, il riso si conserva un po’ meno. Si doveva usare una confezione sottovuoto ma che rimanesse nella testa della gente.
«Ero con mio fratello in autostrada che mi raccontava che un nostro conoscente sarebbe stato in grado di confezionare il riso nelle scatole di metallo, come quelle del caffè. Non eravamo nemmeno al casello successivo che mi ero già convinto. Quell’idea è stata la nostra fortuna, insieme al nome e all’immagine del packaging che avrebbero dovuto richiamare il luogo di produzione e l’acqua, che è la culla del riso».
Così nasce il nome Acquerello e sulla confezione viene stampata l’immagine tipo cartolina che ritrae la cascina Colombara, in primavera, quando le montagne si riflettono nelle risaie allagate.
Una lattina che, tra qualche decennio sarà parte della storia del design alimentare. Riso Acquerello è una delle marche che concorre al lancio internazionale del risotto come grande piatto della cultura italiana.