La nuova vita del vino, trent’anni dopo lo scandalo Metanolo
Era il marzo 1986, quando prese il via l’indagine su uno dei più grandi scandali agroalimentari italiani, quello del metanolo. Una truffa omicida che, dopando il vino con un alcool naturale, il metanolo appunto, causò la morte di 23 persone e lesioni gravi e permanenti a decine di altre.
In questi tre decenni, molti sono stati i cambiamenti, innanzitutto nelle abitudini di consumo.
Secondo uno studio effettuato da Coldiretti, i consumi di vino degli italiani si sono praticamente dimezzati, passando dai 68 litri per persona all’anno del 1986 agli attuali 37, che rappresentano il minimo storico dall’Unità d’Italia. Di conseguenza, la produzione si è ridotta del 38%, passando dai 76,8 milioni di ettolitri agli attuali 47,4. Se la quantità è crollata, a goderne è la qualità: il vino si è affermato come l’espressione di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico, che aiuta a stare bene con se stessi in alternativa agli eccessi. Nel nostro paese sono circa 35mila i sommelier, e cresce, tra le nuove generazioni, la cultura della degustazione consapevole, con la proliferazione di wine bar e un vero boom dell’enoturismo.
Sono i vini del territorio a far registrare i maggiori incrementi della domanda a livello nazionale. Nel tempo della globalizzazione, quindi, gli italiani bevono locale con il vino a “chilometri zero” che è il preferito nelle scelte di acquisto. Questa tendenza ha spinto la nascita a livello regionale di numerose realtà per favorirne la conoscenza, la degustazione e l’acquisto. Non è un caso, quindi, se il nostro paese ha il primato in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 DOCG, 332 DOC e 118 IGT). Se nell’1986 la quota di vini DOC e DOCG era pari al 10% della produzione, oggi è pari al 35%, e se si considerano anche i vini IGT, categoria nata dopo l’86, si arriva al 66%, in altre parole i 2/3 delle bottiglie.
In netta controtendenza con i consumi interni, sono i dati sulle esportazioni che, nel 2015, hanno raggiunto il valore di 5,4 miliardi, con un aumento del 575% rispetto a 30 anni fa. In pratica, oggi nel mondo 1 bottiglia di vino esportata su 5 è fatta in Italia (il 66% delle quali Dog/Doc o Igt) che si classifica come il maggior esportatore mondiale di vino.
Altri cambiamenti riguardano invece gli aspetti più tecnologici e di costume. Con l’ideazione del QR code in etichetta, ad esempio, è diventato possibile garantire la tracciabilità attraverso lo smartphone e di verificare sul web il contrassegno presente sulle bottiglie, in modo da avere informazioni sul prodotto ed essere tutelati dal rischio di imitazioni. Molti produttori di vino hanno poi introdotto il sistema di lettura braille per non vedenti nelle etichette che, oltre all’aspetto puramente informativo, sono diventate anche strumento di marketing con vere opere artistiche. In questi anni, inoltre, è arrivata la possibilità di mettere in commercio i vini a denominazione di origine nel formato bag in box, gli appositi contenitori in cartone e polietilene dotati di rubinetto, che consentono di spillare il vino senza far entrare aria, garantendone la conservazione. Sono stati anche introdotti per la prima volta i tappi di vetro al posto di quelli di sughero, è arrivato lo spumante Made in Italy con polvere d’oro, quello fatto invecchiare nel mare e la bottiglia di spumante con fondo piatto, per aumentare la superficie che i lieviti hanno a disposizione per assolvere al meglio il loro compito.
Non ultimo per importanza, il boom del “Wine beauty”, iniziato con il bagno nel vino, a cui hanno fatto seguito il dopobarba all’amarone, la crema viso alla linfa di vite, lo scrub agli scarti di potatura, il gel di uva rassodante, la crema antietà allo spumante, lo shampoo al vino rosato e lo stick labbra agli estratti di foglie di vite.