Il vitello tonnato di Hiro sbarca in Giappone
Il vitello tonnato di Hiroki Watanabe è una bomba, così come i suoi capônet. Ha imparato a cucinarli ad Avigliana, al ristorante del Centro Velico sul Lago Grande, dopo avere passato diverse rinomate cucine torinesi, a partire dal Cambio e la Barrique di Torino fino alla Credenza di San Maurizio.
Ora, letteralmente folgorato dalla cucina piemontese e friulana, ha deciso di farne la sua ragione di vita e portarle a Tokyo, la sua città. E nel suo piccolo sarà un ottimo ambasciatore della nostra cucina in Giappone.
Con la moglie, Simona Pautasso, trentenne come Hiro e fresca di esame di stato da avvocato, tornerà in Giappone per aprire una gastronomia-enoteca nel cuore della capitale di una nazione dove fino a pochi anni fa il vino e il cibo regionale italiani erano quasi sconosciuti.
Hiro è, prima di tutto, un sommelier. È venuto in Italia, a 22 anni dopo il liceo e dopo avere fatto l’aiutante di cucina in un ristorante, proprio per studiare l’affascinante mondo dei vini con gli scambi studio organizzati da Daniela Patriarca e Costantino Tomopoulos, di Rosta, da tempo specializzati in master di cucina ed enologia per giovani dei mercati enogastronomici emergenti.
“In Giappone di vino se ne consuma ancora molto poco – ci ha spiegato Hiro – E per di più, i vini conosciuti sono soprattutto quelli francesi, a partire dallo Champagne. Ma da un po’ di tempo i vini italiani si stanno facendo strada. Sicuramente c’è un mercato che sarà in continua crescita nei prossimi anni”.
Per il cibo è un po’ diverso. “La cucina italiana, invece, è famosa. In Giappone ci sono tantissimi ristoranti italiani. Ma si conoscono soprattutto la pizza e la pasta, in pochissimi sanno cos’è il vitello tonnato e soprattutto quasi nessuno sa riconoscere un cibo con ingredienti scelti”.
In questi 8 anni a Torino, Hiro, si è dedicato anima e corpo a soddisfare la sua curiosità per i vini e per la cucina. Nelle cucine e nelle sale ha passato buona parte del suo tempo in Italia. Ora riparte. “Amo l’Italia. Ho fatto di tutto per venire in Italia a lavorare con la cucina italiana. Volevo rimanere qui. Ma in questi anni è troppo cambiata. Sembra diventato un Paese triste dove regna l’incertezza. Poi, a Tokyo si è liberato un locale di proprietà dei miei genitori. Credo proprio che questa sia la mia occasione. In Giappone la cucina italiana piace sempre di più, l’economia è solida. Per un giapponese che torna con un bagaglio come il mio ci sono davvero buone possibilità di riuscire. La mia idea è di fare passare i giapponesi da una conoscenza generica dei pochi piatti italiani al cibo di qualità”.
A Tokyo esistono già due Eataly, piano piano c’è un ceto medio che si sta appassionando al cibo italiano di qualità. “Il locale si chiamerà “Scimisciedda”, un nomignolo vezzeggiativo con cui mio nonno, siciliano, mi chiamava da bambina – ci ha spiegato Simona – Si rivolgerà a una clientela di ceto medio che in Giappone ha uno stipendio medio di 2000 euro al mese. Ma non venderemo prodotti di lusso”.
“La sfida – ha continuato Hiro – è fare conoscere buoni vini locali italiani, o cibi di alta qualità, senza avere prezzi altissimi. Non ci interessa vendere il Barolo o il Brunello, che sono già conosciuti in Giappone ma semmai vini da vitigni particolari come il Picolit friulano o il Timorasso dei colli tortonesi. È quella la strada: proporre ai giapponesi la ricerca della qualità della tradizione italiana, con prodotti rigorosamente importati dall’Italia, a prezzi accessibili per tutti”.
Beh, visto che andare in Giappone a gustare i piatti di Hiro non è proprio alla portata di tutti: appuntamento al Centro velico di Avigliana (Torino)… e buon appetito!