Il segreto di una buona bistecca sta nella frollatura
Se una bistecca è legnosa o sa di selvatico, oppure se ha poco gusto o di difficile cottura è perché la carne non ha subito una lenta e sapiente frollatura. Infatti, la frollatura è fondamentale per ottenere una buona carne. Ed è soprattutto nella capacità di eseguire la frollatura che si distingue la vera arte del macellaio.
Già, perché non è per nulla facile ottenere una buona frollatura. In più, si tratta di un procedimento necessario per permettere all’apparato digerente umano di sfruttare completamente tutte le proprietà nutritive della carne.
Anzi, si può dire che, senza la frollatura il muscolo dell’animale appena ucciso non si può nemmeno considerare “carne”.
La frollatura è un processo chimico che accelera l’acidificazione del muscolo rendendolo meno ospitale per i batteri della putrefazione. Se si sbaglia la frollatura, la carne rischia di “marcire”. Una frollatura, abilmente condotta, da una parte rallenta notevolmente il processo di decomposizione e dall’altra conferisce alla carne la sapidità e la consistenza tipiche di un buon prodotto. Una carne ben frollata appare solitamente più scura del muscolo fresco, con il grasso che ha perso il colore bianco, diventando ambrato. Durante la frollatura a secco (a carcassa scuoiata e appesa) la carne perde anche il 20% del suo peso, pur mantenendo all’interno la propria umidità.
La frollatura diventa impossibile se l’animale arriva al macello in condizioni di stress da trasporto, se è stato costretto alla sete o è sottoalimentato. Ma è anche fondamentale che l’animale venga ucciso senza che se ne accorga. Se la morte arriva dopo lunghe ore di sforzo fisico (è il caso di un cinghiale ucciso dopo una lunga braccata) o dopo ore di spavento, come accade alle vacche in stabulazione al macello in attesa di essere abbattute, i muscoli hanno perso troppo glicogeno e mancheranno così gli zuccheri necessari ad ottenere una carne gustosa o addirittura che non abbia sentori di putrefazione. Il benessere animale unito alla buona alimentazione è, dunque, un requisito fondamentale per ottenere una buona carne.
La frollatura dipende dall’azione di specifici enzimi proteolitici, ovvero proteine in grado di accelerare il processo di lisi delle altre proteine con rilascio degli aminoacidi essenziali, che il nostro corpo non è in grado di sintetizzare da solo e che deve assumere con l’alimentazione. Senza l’azione degli enzimi, l’assimilazione delle proteine della carne, da parte del nostro intestino, sarebbe molto più difficile, oltre al fatto che aumenterebbe il rischio di colonizzazione da parte dei batteri putrefattivi.
Per agevolare l’azione degli enzimi proteolitici occorre abbassare il pH, favorendo la formazione di acido lattico, che è prodotto dall’azione di fermentazione rapida compita dai “batteri buoni”, i batteri lattici. Per indurre la proliferazione dei batteri lattici, e quindi la formazione di una sufficiente quantità di acido lattico, occorre appendere la carcassa appena eviscerata per circa 24 ore a temperatura intorno ai 10-15 gradi (fase del rigor mortis); in tale modo, cessato l’apporto di ossigeno alle cellule non più viventi, inizia il consumo di glicogeno muscolare da parte dei batteri lattici.
Dopo che si è ottenuta una buona proliferazione di batteri lattici e con l’acidificazione già in corso, si sottopone la carcassa a raffreddamento, per evitare in questo caso la proliferazione dei “batteri cattivi” che producono cadaverina e putrescina. A questo punto può iniziare il processo di frollatura. La temperatura ideale per una corretta frollatura è compresa tra +2 e 0 gradi. Gli esperti consigliano di non scendere mai sotto lo zero, per evitare principi di congelamento non guidato e non rischiare di ottenere una carne troppo dura. Nello stesso tempo, non si dovrebbe salire oltre i +4 gradi.
A questa temperatura il glicogeno presente nel muscolo, se ancora ben conservato e non consumato prima della morte dell’animale, viene completamente degradato ad acido lattico. Il pH passa da 7.1-7.4 nell’animale vivo, a 5.6-5.9 dopo 24 ore, fino a 5.1-5.2 quando la produzione di acido lattico è sufficiente per permettere agli enzimi proteolitici di svolgere il proprio lavoro di lisi, cioè di liberazione degli amminoacidi dalle catene proteiche. La lisi delle proteine aumenta il potere di assorbimento dell’acqua da parte delle proteine muscolari, mentre le fibre connettivali si fanno più molli. Questi processi rendono la carne decisamente più tenera.
Affinchè la carcassa di un bovino raggiunga una sufficiente frollatura, occorrono una decina di giorni. Ma ci sono carni che per tradizione alimentari o anche per le loro caratteristiche biologiche possono richiedere anche frollature spinte, fino a un mese. Senza parlare delle frollature esagerate di mesi, fino a un anno, per carni grasse e molto marezzate come quella, costosissima, del manzo Wagyu giapponese.
Come si diceva, una carne adeguatamente frollata si riconosce dal colore esterno rosso scuro, quasi un granata tendente al marroncino e al verdognolo. Questo diventa un po’ lo strato protettivo della buona carne frollata. Per consumarla, è opportuno asportare lo strato, fino a evidenziare il colore rosso vivo, che permane all’interno.