“Il pranzo per i malati deve essere di qualità”
Garantire un pasto appetitoso anche quando il cibo siamo costretti a mangiarlo in ospedale è la sfida della ristorazione ospedaliera.
All’ospedale San Luigi di Orbassano (TO) ci pensano da quarant’anni con un bagaglio di esperienza di oltre venti milioni di pasti preparati e serviti, affidato allo chef Savio Nada, sessant’anni da compiere, che, ad agosto, andrà in pensione. Questo è un caso di un servizio che tende sempre più a scomparire, a favore degli affidamenti esterni.
Ma in questo ospedale, tra i più frequentati del Nord Ovest, «si continuerà a garantire un servizio eccellente – come garantisce Franco Ripa, commissario dell’azienda sanitaria ospedaliera – la qualità che contraddistingue da sempre la cucina del San Luigi non calerà».
E allora come si fa a garantire questa qualità vera?
La mensa del San Luigi è una delle due, l’altra è ad Alba, che, in tutto il Piemonte, eroga pasti cucinati di fresco, senza affidarsi a ditte esterne o a pasti preconfezionati.
«Tutti i giorni peliamo le patate per il purè – spiega Savio, lo chef – tutti i giorni la pasta la cuociamo più volte, ogni dieci minuti circa, per garantirla sempre al dente». Occhi sereni di chi spiega con umiltà e competenza concetti semplici ma importanti, quanto può esserlo, ad esempio, il cibo per un malato ricoverato. Originario delle Langhe, dopo le medie, l’istituto alberghiero ad Alassio, nel 1975 Savio arriva a Orbassano per riavvicinarsi alla famiglia. «Non pensavo di restarci a lungo», eppure dal San Luigi non se n’è più andato, vivendo in pieno tutti i cambiamenti che la normativa sulla ristorazione in questi anni ha subito.
Cibo come salute, cibo come gusto. «Ho cercato di coniugare sempre le due cose – spiega – anche se con il passare degli anni tutto è diventato più difficile». Un tempo, in un presidio ospedaliero quale era il San Luigi a metà degli anni settanta, dove le suore curavano la tbc, ciò che contava era rimettere in piedi i malati. «Porzioni abbondanti, quasi esagerate. E poi fritto misto e finanziera, proprio perché il parametro, allora, era quantità e sostanza». Ricorda sorridendo che il latte per la colazione proveniva dalla cascina nei campi dietro l’ospedale. «Arrivavano i bidoni di latte al mattino presto. Dalla bollitura si formava uno spesso strato di panna che adesso risulterebbe fuori legge per qualsiasi regolamento».
Con la legge 155 del 1997 e l’introduzione del sistema HACCP, il modo di fare “mensa” è cambiato radicalmente.
«Prima il protagonista era il cuoco, oggi, invece, siamo soggetti a continui controlli, interni ed esterni. Tutto, giustamente, deve essere certificato». Ad ogni modo, mai una querela, mai un mal di pancia, in oltre quarant’anni di servizio.
«Le esigenze sono certamente cambiate nel tempo, ma abbiamo sempre cercato di usare ingredienti semplici. E’ importante, inoltre, variare e seguire un corretto regime dietetico, quando occorre: pensiamo ai degenti soggetti a diete particolari, ma pensiamo anche agli studenti, ai dipendenti, agli esterni che abitualmente frequentano la mensa del San Luigi».
Così dalle cucine del San Luigi escono pizza, riso alla cantonese e lasagne, ma anche minestrone, frutta e verdura. «Un cuoco ha a che fare con la pancia delle persone, in un rispetto continuo di puntualità ed esigenze specifiche. Non ricordo una volta in quarant’anni in cui non abbiamo aperto alle 12, puntuali. Grazie a un lavoro di precisione, ordine e di buona organizzazione».
Dal primo di agosto Nada passerà il testimone a qualcun altro. «Di cose da fare ne ho, dall’associazione cuochi di Torino, di cui faccio parte, a molte altre attività di beneficenza. E poi, magari, potrei cominciare ad occuparmi seriamente dell’orto e dei miei bonsai».