Il menù dell’Ultima Cena? Agnello, vino e pane azzimo
Nell’imminenza dell’apertura dell’Ostensione della Sindone (19 aprile-24 giugno 2015), cresce l’attenzione verso quell’ultimo pasto consumato da Gesù e dagli apostoli prima del tradimento di Giuda, della Passione e della Crocifissione. Quella cena, che per i cristiani è diventata “la” cena ed ha generato il sacramento dell’Eucaristia, forse assomigliava molto alla caratteristica cena pasquale ebraica.
Ma, in ogni caso, noi ne abbiamo una visione sfalsata dalle raffigurazioni medievali e rinascimentali quando la Chiesa aveva l’esigenza di fare apparire sul desco del cenacolo i piatti prescritti da una tradizione religiosa consolidata.
Proprio sull’Ultima Cena provano a fare luce due archeologi torinesi che, su quel pasto così centrale nella cristianità, hanno indagato a fondo.
Generoso Urciuoli e Marta Berogno, archeologi del cibo, hanno effettuato un viaggio in Palestina per una ricerca storico-archeologica sul Menù dell’Ultima Cena.
I risultati sono esposti in un libro, pubblicato da Ananke “Gerusalemme: l’Ultima cena” (16,50 euro, 204 pag.).
L’Ultima Cena, evento presumibilmente accaduto all’inizio del I secolo d.C. nell’allora Giudea va innanzitutto inserito nel contesto della Palestina, di Gerusalemme, dell’Impero Romano, del popolo eletto, delle Sacre Scritture.
«Fondamentale – spiegano gli autori – per comprendere le abitudini legate alla tavola della Palestina nel periodo in cui avvenne la Cena per antonomasia, è stata la ricostruzione di alcuni banchetti citati nel Nuovo Testamento: dalle nozze di Cana, al Banchetto di Erode per arrivare, appunto, all’Ultima Cena. La ricostruzione di questi avvenimenti, avvenuta con il filtro del “filologicamente accettabile”, è utile per ricostruire il quadro alimentare presente a Gerusalemme nel I secolo d.C. Il popolo di Israele ha un legame molto forte con il cibo, che assume una valenza spirituale e culturale fondamentale; con il banchetto delle nozze di Cana abbiamo fatto luce sulle tradizioni alimentari e sulle numerose regole (kasherut), che rappresentano il fondamento della pratica religiosa, mentre con il banchetto di Erode abbiamo analizzato quali potevano essere le influenze, soprattutto romane, di una cucina internazionale presente a Gerusalemme. Un alimento comune in tutti i banchetti, escludendo il pane e il vino che sicuramente erano presenti, fu per esempio il garum: la salsa di pesce tipica della cucina romana, ma presente anche nella variante locale chiamata tzir».
Secondo Urciuoli e Berogno, l’Ultima cena non può essere un Seder Pasquale in quanto quel rito fu codificato almeno un secolo dopo la presenza di Gesù sulla Terra, per sopperire al venir meno del tempio di Gerusalemme, distrutto nel 70 d.C. dai Romani. Il Tempio era centro nevralgico, giuridico, religioso e luogo dove avvenivano le celebrazioni e i sacrifici anche per Pasqua.
Attraverso un’attenta ricerca iconografica delle raffigurazioni realizzate in Oriente e in Occidente dal III secolo d.C. in avanti, gli autori scoprono che l’Ultima Cena si distacca dalla scena descritta nel cenacolo vinciano.
«Attraverso i dipinti – spiegano Urciuoli e Berogno – siamo abituati a vedere Gesù e gli apostoli seduti dietro a un tavolo, ma i Greci e i Romani erano soliti mangiare semisdraiati e adagiati, come gli abitanti della Palestina all’epoca di Gesù. Non c’erano triclini in tutte le case, ma, ovunque, tappeti e cuscini con una serie di tavolini bassi dove veniva appoggiato il cibo. La nostra immaginazione è troppo condizionata dal capolavoro di Leonardo da Vinci, che deriva da secoli di codificazioni iconografiche in cui si indicavano quali dovevano essere gli elementi tipici da inserire nella rappresentazione. A questo si aggiunge che l’immagine tradizionale dell’Ultima Cena è diventata il simbolo del tema del “Sacramento”, dell’eucaristia: ciò che avvenne a Gerusalemme nel I secolo d.C. acquisendo, con il passare dei secoli, un fortissimo valore simbolico che non ne agevola la ricostruzione».
È probabile che fossero presenti alimenti e preparati tipo lo “charoset” o le erbe amare, piatti tipici della Pasqua, ma anche altri, come lo “cholent”, tipico delle festività, oltre ad alimenti della zona palestinese come l’issopo che potevano essere consumati anche quotidianamente. Ma se fosse stato davvero il periodo Pasquale, sulla tavola dell’Ultima Cena sulla tavola avremmo trovato: agnello, cholent di legumi del sabato, olive all’issopo, charoset con datteri, erbe amare ai pistacchi, pane azzimo, vino aromatizzato.
«Siamo partiti dal presupposto – spiegano – che quello che noi conosciamo come Gesù, fosse un vero ebreo, rispettoso delle tradizioni trasmesse dalla Torah, e che si fosse attenuto anche ai dettami, soprattutto divieti, legati agli alimenti. Il popolo eletto era tale perché rispettava la legge fornita da Dio, divieti alimentari inclusi. Il nostro lavoro, indipendentemente da quello che possiamo aver messo su quella tavola, non è, e non vuole essere, argomento di fede. Quello che abbiamo fatto è un tentativo di confrontare le fonti esistenti fino al momento della cena riferendole al contesto archeologico, politico, letterario, linguistico, della Palestina e del mondo greco romano del I sec. d. C.».
Per maggiori informazioni: www.archeoricette.com