Il bio non è più una moda, e vale 3 miliardi
Nel giorno in cui Expo inaugura il padiglione del bio la Cia diffonde i dati del settore.
Il bio non è più una nicchia, ma è uscito definitamente dalle ‘mode’ per diventare una vera abitudine di spesa, come dimostrano i dati sui consumi domestici che, dal 2007 in poi, hanno sempre fatto registrare segni positivi: +17% nel corso del 2014 e un fatturato che ammonta a 2 miliardi di euro (3,1 se si considera anche l’export).
E anche il mondo produttivo si dà da fare per rendere il segmento del biologico una delle certezze dell’agroalimentare made in Italy: l’Italia è al sesto posto nella classifica mondiale per superfici dedicate e al primo in Europa.
In Italia oggi il 9% della Sau è coltivata con metodo biologico per un totale di 1,1 milioni di ettari. E il numero degli operatori della filiera è cresciuto del 5% nell’ultimo anno, a quota 52.383, di cui 41.513 sono produttori esclusivi. Tutti, poi, con caratteristiche fortemente innovative: un’alta percentuale di donne (25%), di giovani (il 50% ha meno di 50 anni), di imprenditori agricoli aventi un livello di istruzione elevato (il 32,2% ha un diploma e il 16,8% una laurea) e con una superficie agricola utilizzata maggiore (la media aziendale del bio è di 26 ettari contro i 7,9 delle aziende tradizionali).
E tuttavia il settore ha ancora dei punti di debolezza: scarsa organizzazione della filiera e in particolare, bassa disponibilità di centri di stoccaggio e logistica; scarsa diffusione di colture a più alto valore aggiunto e con forti potenzialità di mercato interno e internazionale: ortaggi (22mila ettari), frutta (28mila ettari); agrumi (28mila ettari); vite (68mila ettari); colture industriali (16mila ettari).