Home Restaurant, Gnammo chiede al Senato una legge più snella
Questa mattina la Camera ha approvato, con 326 voti a favore, 23 contrari e 27 astenuti, la disciplinare sull’home restaurant, l’attività di ristorazione in abitazione privata. Una decisione importante per un tema che ha scatenato, soprattutto negli ultimi mesi, numerose polemiche.
Ora la “palla” passa al Senato, che dovrà confermare l’approvazione della Camera o apporre eventuali modifiche meno limitanti all’attività. Proprio a questo si appella Gnammo, il principale player dell’innovativa formula di ristorazione “social” a domicilio.
“E’ una legge fortemente voluta da insistenti attività di lobbyng da parte delle associazioni di categoria, che non hanno realmente compreso quanto l’home restaurant sia lontano dall’esperienza del ristorante e sia non avversario ma strumento di sviluppo del settore” – spiega Cristiano Rigon, founder di Gnammo.
“L’augurio – prosegue Rigon – è che il Senato sappia produrre una legge sufficiente agile e snella, rispondente ai suggerimenti UE di non promulgare norme che limitino, ma che favoriscano lo sviluppo del mercato del Social Eating, limitando ancora i forti vincoli presenti nel testo approvato oggi dalla camera.”
Innanzitutto c’è da precisare che non tutti i punti della disciplinare vengono visti in modo negativo, ma alcuni aspetti centrali sono condivisi anche da Gnammo. Pensiamo, per esempio, all’obbligo di pagamento solo online, alla necessità di determinare i requisiti dei cuochi, in modo da garantire qualità e sicurezza alimentare, e al fatto che l’home restaurant venga riconosciuto come “attività autonoma occasionale”, permettendo così di scaricare i costi inerenti, conservando gli scontrini.
Su altri aspetti, invece, Gnammo è fortemente critica e si augura una revisione meno vincolante da parte del Senato. Ad esempio, il fatto che la legge ponga a 5.000 € il limite sui proventi annuali per l’home restaurant viene visto come “un limite di profitto che dimostra come non si sia compreso il potenziale della sharing economy e si cerchi di tutelare incondizionatamente una categoria a discapito di un’altra. Più adeguata sarebbe stata la proposta di porre limiti sul numero di coperti, metro usato anche per i ristoranti.”
Ugualmente limitante è il divieto di svolgere l’attività di home restaurant in abitazioni destinate anche ad affitti a breve termine, come è il caso degli appartamenti inseriti nel circuito AirBnb. “Si tratta – Conclude Rigon – di limitare la sharing economy, mettendo gli italiani in condizione di dover scegliere se mettere in gioco le proprie abilità culinarie o utilizzare una stanza in più disponibile in casa.”