Frutta nelle bibite, le lobby contro la qualità
Ha vinto la Fanta, ha perso l’arancia di Sicilia.
È scoraggiato il mondo agricolo di fronte allo stop per l’aumento della percentuale di vera frutta nelle bibite gassate. La potente lobby delle industrie delle bibite ha vinto ancora una volta. E ancora una volta è andato in scena lo scontro tra industria alimentare, che fa i prezzi e detta le politiche di settore, e l’agricoltura, che pur fornendo le materie prime non ha la forza di portare a casa prezzi più equi e maggiore impiego di prodotti della terra nei prodotti industriali.
Aumentare la percentuale di frutta di nei succhi significa semplicemente migliorare la qualità di prodotti che sono il vanto dell’industria italiana e sono molto consumati nel mondo (ad iniziare dai succhi di arancia, che nei paesi anglosassoni si bevono letteralmente a fiumi). Ma significa anche dare maggiore sbocco di vendita per la frutta italiana (soprattutto arance) e rendere ancora più remunerativo il lavoro agricolo, vera alternativa alla carenza di quello impiegatizio e industriale in tempi di forte disoccupazione.
Ma l’Europa ha preferito ancora una volta dare retta al ricatto, tutto da verificare, della perdita di utili e quindi di posti di lavoro dell’industria alimentare, a scapito della qualità, della salute dei consumatori (più frutta, più principi nutritivi naturali) e delle ricadute sulle campagne.
Una sconfitta propiziata da ampi settori del Pd e del centrodestra, uniti nelle larghe intese anche nel favorire l’industria dei succhi di frutta che vuole un prodotto meno costoso che garantisca maggiori margini di profitto.
“Rimaniamo interdetti per la decisione della Commissione Politiche dell’Ue della Camera di bocciare l’emendamento alla Legge europea 2013 finalizzato ad innalzare la percentuale minima di frutta nei succhi e bevande analcoliche dall’attuale 12% al 20% – ha commentato il presidente nazionale di Coldiretti, Roberto Moncalvo – Avevamo salutato con soddisfazione la volontà del Partito democratico, il primo partito italiano, di opporsi all’allora Governo Letta e di approvare, in Commissione Agricoltura, una misura che era nell’interesse dei consumatori e dei produttori italiani, ma dobbiamo prendere atto che le più bieche lobby industriali sono riuscite ad avere il sopravvento sulla logica della salute e della qualità”.
La decisione del Parlamento “getta nella più assoluta prostrazione i produttori di frutta, soprattutto del meridione, e danneggia i consumatori italiani, in particolare i bambini che avrebbero diritto ad alimenti di qualità superiore”.
La Coldiretti ricorda che, con l’aumento al 20 per cento del contenuto minimo di frutta nelle bevande analcoliche prodotte e commercializzate in Italia, duecento milioni di chili di arance all’anno in più sarebbero “bevute” dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate.
“L’Italia con il primato europeo nella qualità e sanità degli alimenti – afferma Moncalvo – ha il dovere di essere all’avanguardia nella battaglia per cambiare norme che sono difese in Europa solo dalle grandi lobby industriali”.
Innalzare la percentuale minima di frutta nei succhi e bevande analcoliche dall’attuale 12% al 20% avrebbe concorso a migliorare concretamente la qualità dell’alimentazione e avrebbe dato “un colpo a quella intollerabile catena dello sfruttamento che al Sud colpisce gli agricoltori ed i trasformatori mentre le uniche ad aver vinto sono state le multinazionali dell’aranciata. Ora questa battaglia di verità e di trasparenza – conclude Moncalvo – si sposta nelle aule parlamentari. La Coldiretti garantisce il suo impegno ai produttori e ai consumatori italiani per rimuovere un atto di autentica ingiustizia”.
Sulla stessa posizione la Cia. “Dispiace che sia stato bocciato in Commissione Politiche Ue della Camera l’emendamento (presentato dal Pd) alla legge comunitaria che porta dal 12 al 20 per cento il minimo di frutta nelle bevande analcoliche a base di frutta prodotte e commercializzate in Italia. Ma la questione, sempre abbastanza controversa, è e rimane europea. La palla deve passare a Bruxelles dove va deciso un provvedimento comune che riguardi tutti i 28 paesi membri”.
Ma la Confederazione italiana agricoltori, vicina al Pd, chiama in causa l’Europa.
“Indubbiamente avere più frutta nelle bevande analcoliche migliora la qualità del prodotto, tutela i consumatori e offre garanzie ai produttori agricoli. Tuttavia, senza una decisone chiara dell’Ue c’è il rischio -sottolinea la Cia- di creare problemi soprattutto in termini di competitività. E poiché la Commissione europea ha espresso più volte la sua contrarietà a un provvedimento del genere, occorre un’azione incisiva del governo in sede di confronto comunitario”.
In tale contesto, la Cia esprime un giudizio positivo sull’accordo interprofessionale sui succhi di frutta ottenuti per gli agrumi. “E’ un’intesa che apre importanti prospettive per il settore, ma soprattutto consente di conoscere l’origine dei prodotti agricoli utilizzati per le bibite. Si tratta di una reale tutela del consumatore e di una salvaguardia del produttore”.
Oggi, su frutta e ortaggi freschi, al produttore agricolo va in media circa il 18 per cento del prezzo finale alla distribuzione. Una quota di valore che nell’ultimo decennio è scesa di oltre 5 punti, mentre è lievitato l’import “low-cost”, specialmente dal Nord Africa. Con l’aggravante che per gli agricoltori italiani sono cresciuti pesantemente i costi di produzione e gli oneri burocratici, che hanno tagliato la competitività sui mercati.