Frutta e verdura, i prezzi li fa la mafia
Il volume d’affari complessivo dell’agromafia è salito a circa 14 miliardi di euro nel 2013, con un aumento record del 12 per cento rispetto a due anni fa, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese perché la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi.
Ieri, 20 febbraio, una nuova operazione della Dia ha portato alla luce le rilevanti attività’ economiche dell’organizzazione mafiosa facente capo al clan dei Galatolo, legate al mercato ortofrutticolo e al suo indotto. Un’operazione che conferma come la criminalità, sia attiva dall’intermediazione dei prodotti alimentari al trasporto, dallo stoccaggio nei mercati fino all’acquisto e all’investimento nei centri commerciali, con pericolosi effetti sulle tasche degli italiani e sul reddito delle imprese agricole, con rincari anomali dei prezzi e aumento dei costi.
Le mafie si infilano in tutta la filiera, ma, in particolare, cercano di insinuarsi nel sistema dei traspoti e della vendita all’ingrosso. Passaggi di filiera dove è più alto il valore aggiunto che poi ricade sui prezzi al consumo.
Un’indagine conoscitiva dell’Antitrust ha evidenziato che i prezzi per l’ortofrutta moltiplicano in media di tre volte dalla produzione al consumo, ma i ricarichi variano del 77 per cento nel caso di filiera cortissima (acquisto diretto dal produttore da parte del distributore al dettaglio), del 103 cento nel caso di un intermediario, del 290 per cento nel caso di due intermediari, fino al 294 per cento per la filiera lunga (presenza di 3 o 4 intermediari tra produttore e distributore finale).
La moltiplicazione delle intermediazioni, l’imposizione di servizi di trasporto e logistica, il monopolio negli acquisti dai produttori agricoli provocano non solo l’effetto di un crollo dei prezzi pagati agli imprenditori agricoli, che in molti casi non arrivano a coprire i costi di produzione, ma anche un ricarico anomalo dei prezzi al consumo che raggiungono livelli tali da determinare un contenimento degli acquisti.
Le imprese mafiose, poi, aumentano fino all’eccesso i loro prezzi, che possono spesso imporre con metodi intimidatori.
In questo senso, la mafia contribuisce all’aumento dei prezzi e alla conseguente contrazione dei consumi, aggravando gli effetti della crisi per gli agricoltori.
I punti più sensibili per le infiltrazioni malavitose sono costituiti dai servizi di trasporto su gomma dell’ortofrutta da e per i mercati; dalle imprese dell’indotto (estorsioni indirette quali ad esempio l’imposizione di cassette per imballaggio); dalla falsificazione delle tracce di provenienza dell’ortofrutta (come la falsificazione di etichettature: così, prodotti del Nord-Africa vengono spacciati per comunitari); dal livello anomalo di lievitazione dei prezzi per effetto di intermediazioni svolte dai commissionari mediante forme miste di produzione, stoccaggio e commercializzazione, secondo la Direzione Nazionale Antimafia.
Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni ed ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale.
Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – conclude Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy.