E’ il tempo delle mele, come scegliere quelle buone
Di Massimiliano Borgia
È il tempo delle mele. Novembre è il mese che ha il maggior numero di varietà di mele disponibili sul mercato. La lunga stagione della raccolta del frutto più conosciuto e amato del mondo, è conclusa. Una stagione che in Italia, inizia a fine estate con le Gala per terminare con le varietà locali tardive come l’Annurca campana o la Grigia di Torriana piemontese.
Questo è quindi il periodo delle mele belle seduttive: croccanti e succose e, se non sono state incerate (come avviene per le rosse Red delicious) o spazzolate, hanno la buccia ancora ricca di pruina, la sottile patina bianca che le rende opache.
Ma ormai le mele sono raccolte soprattutto per “averle tutto l’anno”, cioè per essere conservate e distribuite da ottobre ad agosto dell’anno dopo senza che assumano l’aspetto raggrinzito di una volta, quando le mele venivano lasciate fino a Pasqua in cantine buie.
La conservazione di lungo periodo inizia con la raccolta e avviene seguendo parametri di concentrazione di zuccheri, acidità e compattezza del frutto che sono propri di ogni varietà. Per ottenere una capacità di conservazione minima di 6 mesi (ma di solito si conservano fino a 12 mesi), le mele devono contenere tanto amido ma poco zucchero. Lo zucchero di un frutto troppo maturo, infatti, favorisce la sovramaturazione e, dunque, la fermentazione.
Le mele vengono conservate in grandi celle di stoccaggio mai troppo lontane dai frutteti. Lo stoccaggio è in atmosfera controllata a una temperatura che va da 0,5 a 1 grado. Guai, infatti, a fare scendere la temperatura a zero con il rischio di congelamento del frutto. Ogni cella è dedicata a una specifica varietà. Per controllare l’atmosfera di conservazione si gioca sulla percentuale di ossigeno e soprattutto di anidride carbonica. Questa è mantenuta in percentuali sufficienti a bloccare la respirazione dei frutti che, sulla buccia, hanno dei pori attraverso i quali assorbono ossigeno ed emettono etilene.
L’etilene è l’ormone, gassoso, delle senescenza che è in grado accelerare la maturazione. Un effluvio che ha effetto anche su altri frutti sensibili: non a caso, per favorire la maturazione dei cachi o dei kiwi raccolti ancora duri, si consiglia di conservarli mescolati alle mele.
L’etilene è quindi il grande problema della conservazione della mela. Per questo, il gas non deve mai essere presente in dose eccessiva nelle celle: viene abbattuto con la variazione della temperatura e della composizione dell’atmosfera modificata o utilizzando filtri al permanganato di potassio oppure abbattitori a letti catodici.
Un altro aspetto importante è l’umidità. Le mele non si devono disidratare e, per questo, nelle celle c’è sempre un’umidità al 90 per cento.
Con le esigenze di conservazione si perde un po’ la caratteristica di frutto dolce della cara vecchia mela matura colta dall’albero e mangiata subito. Le mele vengono raccolte più acide e, una volta tolte dalle celle di conservazione, devono passare non più di 2 giorni tra confezionamento e distribuzione al supermercato (magari con un viaggio dal Piemonte alla Germania).
Con la conservazione cambiano il contenuto di zuccheri e soprattutto la consistenza della polpa. Se un frutto è immaturo contiene più amido che, poi, con la respirazione attraverso la buccia si trasforma in glucosio. Le mele di varietà più farinose, come le red delicious, hanno un contenuto di amido più basso e un più alto contenuto di zuccheri, mentre la golden, la mela gialla, è più compatta.
Ma l’acidità e il gusto asprigno sono caratteristiche che rendono deliziose molte varietà e non è detto che, una volta matura, una varietà a gusto più acidulo contenga per forza meno zuccheri di una dolcissima.
Di solito, la mela, che è un frutto da climi temperati, contiene più zuccheri se viene coltivata a quote maggiori a causa del maggiore irraggiamento solare, ma altre al bisogno di sole, la mela cresce dove il clima è fresco. Non a caso le zone migliori sono le fasce pedemontane (famosa la fascia Saluzzese-Pinerolese in Piemonte) o nei fondovalle (tipico il caso della valle dell’Adige in Trentino) o nei versanti di bassa montagna (come nel caso della val di Non e della zona di Lana di Merano). E, visto che il colore rosso, è oggi quello preferito dai consumatori, si favorisce la pigmentazione della buccia proprio agendo per potenziare l’irraggiamento solare ma dosando l’affrescamento dei filari. Per questo si mantiene l’erba nel frutteto (senza zapparla via) e si usano anche le reti antigrandine per dare più fresco se l’estate tarda a mitigarsi.
Ma come si fa a riconoscere una “buona” mela?
Intanto, occorre guardare alla simmetria del frutto che è indice di una crescita regolare, cioè di un frutto che non ha sofferto. Mentre il colore ci dice poco: un frutto più uniformemente rosso contiene più antocianine (mentre la copertura gialla della buccia contiene carotenoidi).
Rispetto alla dimensione, i frutti più grandi sono anche i più zuccherini, così come sono più dolci le mele che non sono state insacchettate. Occorre anche controllare il picciolo, che quando è verde è indice di una buona conservazione del frutto. La buccia ricoperta ancora dalla pruina, cioè la patina bianca, ci dice che la mela ha subito una scarsa lavorazione successiva al raccolto, cioè è simile al frutto appena colto. Ma, del resto, oggi il consumatore non vuole più le mele spazzolate, così come non si apprezzano più le mele incerate, anche se le mele rosse vengono ancora ricoperte di cera edibile per bloccarne la traspirazione.
Attenzione: se la polpa ha il cuore bruno è perché ha subito danni da freddo durante la conservazione. E poi, fare attenzione ai semi. Meglio non mangiarli, sono velenosi e se ne mangiassimo, una quantità anche solo pari a un bicchierino pieno, rischieremmo la vita.