Due pizze su tre sono straniere
Quasi due pizze su tre (63 per cento) arrivano dall’estero.
Sono servite in Italia ma sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio esteri. provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori.
Quegli stessi consumatori che oggi hanno rinunciato del tutto ad andare in pizzeria (25 per cento) o hanno ridotto le presenze (40 per cento) rispetto a prima della crisi secondo l’indagine Ixe’.
E’ quanto emerge dal Dossier “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”, presentato dal presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo al Teatro Palapartenope di Napoli, che analizza per la prima volta anche cosa c’è di diverso con la crisi nei piatti piu’ rappresentativi della tradizione alimentare italiana con la pizza che sempre meno tricolore, la pasta diventata “autarchica”, mentre i sughi piu’ nostrani, dall’arrabbiata alla puttanesca, profumano d’oriente e il pane viene impastato nei Paesi dell’est Europa.
Dal Dossier si evidenzia che si verificata una rivoluzione storica per la pasta con la produzione di quella fatta di grano italiano al cento per cento iniziata ed esplosa proprio negli anni della crisi.
Ma invece, nelle pizzerie, viene servito un prodotto preparato con mozzarelle ottenute non dal latte ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale.
In Italia sono stati importati nel 2013 ben 481 milioni di chili di olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20 per cento nei primi due mesi del 2014.
Una fiume di materia prima che ha purtroppo compromesso notevolmente l’originalità tricolore del prodotto servito nelle 50mila pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati.
La pasta la cui produzione, al contrario, ha fatto registrare una decisa svolta nazionalista con la nascita e la rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%.
Un percorso che è niziato nei primi anni della crisi dal Consorzio Agrario di Siena con la pasta dei coltivatori toscani per estendersi poi ad alcune etichette della grande distribuzione (da Coop Italia a Iper) fino ai marchi nuovi o storici piu’ prestigiosi (Ghigi, Valle del grano Jolly Sgambaro, Granoro, Armando, ecc) tanto che all’appuntamento con diecimila agricoltori della Coldiretti Guido Barilla Presidente Barilla G. & R. Fratelli S.p.A, ha annunciato che lo storico marchio napoletano “Voiello”, che fa capo al Gruppo, venderà solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo” coltivato in Abruzzo, Molise, Puglia e Campania che per il contenuto proteico e la forza del glutine può essere considerato il grano duro italiano d’alta qualità del Sud.
Meno fortuna ha avuto il prodotto piu’ presente sulle tavole degli italiani poiché accanto al pane artigianale venduto nei forni in Italia, si assiste all’arrivo di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, surgelati, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’est europeo, destinati ad essere poi cotti e diventare pane nelle strutture commerciali a basso costo.