“Con i falsi italiani persi 300mila posti di lavoro”
Nella sua campagna di lotta alla contraffazione e falsificazione dei prodotti alimentari la Coldiretti stima che il fenomeno, diffusissimo nel mondo, costa all’Italia trecentomila posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con una seria azione di contrasto a livello nazionale e internazionale “Con il fatturato del falso Made in Italy – osserva Coldiretti, forte di un’indagine Eurispes – che solo nell’agroalimentare ha superato i 60 miliardi di euro, la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le istituzioni un’area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione. Il fatturato delle esportazioni agroalimentari nazionali, che ha raggiunto la cifra record di 34 miliardi nel 2013, potrebbe addirittura triplicare.
Il cosiddetto “Italian sounding” colpisce i prodotti più rappresentativi dell’identità alimentare nazionale. E Coldiretti parla di vera e propria “pirateria alimentare” nei diversi continenti dove sono state scovate delle “inquietanti aberrazioni”, dal “Parma salami” del Messico alla “mortadela” siciliana dal Brasile, dal “salami calabrese” prodotto in Canada al “provolone” del Wisconsin.
Le denominazioni Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono le più copiate nel mondo con il Parmesan diffuso in tutti i continenti, dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia fino al Giappone, ma in vendita c’è anche il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesao in tutto il Sud America. Per non parlare del Romano, dell’Asiago e del Gorgonzola prodotti negli Stati Uniti dove si trovano anche il Chianti californiano e imitazioni di soppressata calabrese, Asiago e pomodori San Marzano “spacciate” come italiane. In alcuni casi sono i marchi storici ad essere “taroccati” come nel caso della mortadella San Daniele e del prosciutto San Daniele prodotti in Canada. “Il comune denominatore degli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari italiani – continua Coldiretti – è l’opportunità, per un’azienda all’estero, di ottenere sul proprio mercato di riferimento un vantaggio competitivo associando indebitamente ai propri prodotti l’immagine del Made in Italy apprezzata dai consumatori stranieri, senza alcun legame con il sistema produttivo italiano e facendo concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali impegnati a garantire standard elevati di qualità”.