Collegno (TO), dove la mensa è una festa
Riuscire a fare apprezzare ai bambini il pasto della mensa scolastica non è facile. Se poi, quel piatto che “non è come lo fa la mamma”, è anche l’unica occasione per trasmettere un po’ di sana educazione alimentare, allora il cibo sano deve per forza anche essere buono.
Ne sanno qualcosa a Collegno, città di 50mila abitanti al confine ovest di Torino, dove la mensa scolastica è considerata vera occasione di educazione alimentare.
La mensa a Collegno è affidata in appalto alla Sodexo, uno dei colossi del settore. Ma è strettamente controllata dal Comune.
Laura Bonato, dietista, la responsabile comunale del servizio mensa, ha l’ufficio proprio al Centro di cottura, la grande cucina centralizzata che ogni giorno sforna pasti per 3.300 utenti tra bambini, insegnanti e dipendenti comunali.
È qui ad occuparsi dei pasti dei bambini dal lontano 1975. Da allora studia ogni giorno non solo il modo migliore per alimentare i bambini ma soprattutto il modo migliore per farli mangiare.
“Il primo problema è proprio riuscire a fargli apprezzare il cibo – ci ha spiegato – Si può compiere qualsiasi scelta compatibile con la salubrità dei prodotti, l’ambiente, con l’equo compenso dei contadini. Si possono ordinare prodotti biologici, a Km zero, solidali. Ma se poi i bambini non li mangiano tutto questo non è servito a niente”.
Si scopre così che il primo trucco è cambiare spesso. “La quotidianità, alla lunga, stufa; in un certo senso usura il palato dei bambini. Il pasto della mensa non deve essere percepito come qualcosa di scontato e ripetitivo. Al contrario deve esserci sempre un po’ l’effetto novità”. Così a Collegno gli abbinamenti del menù del giorno sono sempre diversi. E sono ben pubblicizzati attraverso i calendari che vengono donati alle famiglie a inizio anno scolastico.
Con la differenziazione delle proposte i ragazzi comprendono la varietà dei cibi. “Abbiamo i percorsi dei menù regionali, con le ricette locali tradizionali , oppure i menù delle feste (menù natalizio, menù di Halloween) o esotici (cinese, americano, africano, arcobaleno) che cerchiamo di proporre sempre con un po’ di ambientazione. Anche perché, siamo convinti, che se le mense non godono di un’ottima fama tra le persone è anche perché troppo spesso si mangia in ambienti tristi, freddi, male arredati”.
Così, per esempio, quando c’è il pranzo cinese (riso alla cantonese, pollo alle mandorle, insalata primavera e biscotti di farina si riso) l’addetta a servire indossa un copricapo cinese, e gli ambienti scolastici si trasformano in un surrogato del classico ristorante “Grande Muraglia” con annessi lanterne cinesi e altri arredi del genere.
Poi ci sono i concorsi a premi. Per esempio, alla classe viene recapitata la ricetta di un piatto dove manca un ingrediente. Se i ragazzi lo indovinano la classe vince una merenda (che alle medie non è prevista). Se indovinano l’ingrediente nel menù natalizio ricevono un pacco regalo. “È un modo per abituarli a fare molta attenzione a cosa mangiano e per insegnargli ad assaggiare”.
Ma per ogni nuova proposta è sempre fondamentale il gradimento del bambino. “Non sono d’accordo con chi dice che bisogna obbligarli a mangiare quello che gli fa bene. Il metodo coercitivo provoca solo l’effetto contrario. Se un cibo è salutare per i dietisti ma poi finisce in buona parte nel contenitore dell’organico è nostro dovere interrogarci su cosa abbiamo sbagliato”.
E in questo continuo brain storming tra cuochi, responsabili comunali, insegnanti, è previsto anche che lo chef faccia visita a scuola a prendersi le critiche su come ha cucinato. “Ragazzi e professori ricevono lo chef, che si presenta in aula proprio vestito da chef portando una merenda di sorpresa. Gli chiede cosa piace e cosa non piace del menù e spiega coma fa a cucinare i pasti. Poi, le classi vengono a visitare il Centro di cottura per rendersi conto di come funziona”. Inoltre, le Commissioni mensa composte dai genitori visitano spesso il Centro cottura e sul gradimento dei pasti viene distribuito un questionario agli insegnanti.
Per incontrare il gradimento dei giovani utenti, la prima cosa è offrire un servizio di qualità. “Quello che cuciniamo deve partire da ingredienti ricchi di sapore, colorati e non smorti, che hanno avuto nelle preparazioni tutti gli accorgimenti propri delle filiere di qualità”. Così la carne rossa è del consorzio Coalvi che tutela la razza piemontese. “È carne molto rossa, perché allevata con metodi tradizionali e ricca di ferro. All’inizio la trovavano di gusto forte ma in questo caso abbiamo voluto tenere duro, e alla lunga si sono abituati a questo che è il vero gusto della carne. Carne che non è congelata ed è rigorosamente fresca”. Le carote e le patate, come le altre verdure, non sono di “quarta gamma” ma sono il più possibile fresche. “Le carote tagliate sul momento mantengono maggiori principi nutritivi e hanno più gusto”. Formaggi e prosciutti sono Dop. “Il Bra Dop o il Prosciutto di Parma, costano qualcosa in più ma sono decisamente più gustosi; il formaggio lo tagliamo dalla forma intera; il prosciutto di Parma, che ha anche una masticabilità migliore, viene disossato partendo dalla coscia”.
Se i prodotti non rispettano le aspettative del servizio mensa vengono rimandati indietro. “I fornitori devono sempre sapere che se qualcosa non è conforme non gliela prendiamo. Come nel caso della frutta troppo acerba: i bambini devono abituarsi al sapore della frutta matura e quindi non l’accettiamo. I fornitori devono essere continuamente controllati e stimolati, e devono essere flessibili, pronti a cambiare in corsa”.
Si è scelto di non insistere ad oltranza sul biologico e sul Km zero. “Dipende dal prodotto. Per esempio, avevamo le crostatine biologiche ma non piacevano, le abbiamo sostituite con la marmellata bio. Oppure, le pere biologiche erano troppo delicate e si ammaccavano, le abbiamo sostituite con pere coltivate con lotta integrata. Poi, diamo il pane biologico che però non va bene per le materne. Mentre la pasta preferiamo che sia di una buona marca industriale. Mentre il riso è biologico”.
Il problema è che una dieta che è il frutto di studi attenti, concertazioni con figure diverse, lunghe riunioni, poi deve competere con i prodotti del supermercato, che sono quelli che entrano in casa. E con una cucina casalinga che, a differenza della vecchia accezione, oggi sta a significare piatti pronti, confezionati, spesso cucinati fritti. “Per noi è una lotta impari. Le industrie alimentari hanno dietro ricerche affinate e possono utilizzare accorgimenti per incontrare il gusto dei clienti che noi non accettiamo. Non è un caso che i ragazzi apprezzino moltissimo la cotoletta, che cuciniamo al forno, e le patatine, anche quelle al forno. Ma anche con questi piatti è difficile avere lo stesso successo dei loro parenti fritti. E poi l’industria sforna continuamente le sue novità, supportate da costose campagne pubblicitarie. Ma, in ogni caso, non possiamo restare indietro rispetto allo stile di vita delle famiglie. Non possiamo sentirci dire che a casa i bambini mangiano e in mensa no”.
Uno degli ostacoli alla flessibilità e alla fantasia testate sul campo sono le normative sempre più stringenti. A Collegno i menù scolastici devono sottostare ai rigidi disciplinari dell’Asl To3. Come sempre, il nemico più temuto è la tossinfezione. “Tutti i giorni teniamo da parte i pasti campione a disposizione dei controlli e delle eventuali analisi. La Sodexo compie proprie analisi sul cotto e sul crudo e il Comune spende 9.000 euro per tamponi e analisi sui macchinari e sugli ambienti. Le visite ispettive di Asl e Nas sono costanti. Ma oltre ad effettuare i controlli il Servizio igiene alimenti e nutrizione dell’Asl vieta l’uso di diversi alimenti ritenuti non sicuri. È il caso delle uova non pastorizzate, delle salse fresche, non possiamo cucinare pezzi di carne come gli arrosti senza abbattitore di temperatura e le rolate non possono essere maggiori di due Kg. Le verdure fresche vengono lasciate in acqua e disinfettate prima di essere sciacquate e asciugate”.
La stessa struttura a “elle”, dell’ex Padiglione dell’Ospedale Psichiatrico di Collegno, che ospita il Centro cottura dal 1988, è l’ideale per aumentare la sicurezza. “Cibi cotti e cibi crudi non si incrociano mai, dall’ingresso delle forniture fino alla zona di confezionamento, il cibo non torna mai indietro. Questa è una struttura ideale. Poi tutto viene lavato e sanificato subito. In tutti questi anni, ho magari dovuto fare fronte a lamentele delle famiglie su piatti che non piacevano ai bambini, ma problemi di sicurezza alimentare non ne abbiamo mai avuti”.