Chiamparino, L’Expo a Torino sarebbe stata più pulita
Se Expo 2015 si facesse a Torino non sarebbe così frequentato dalla finanza e dai magistrati come l’Expo milanese.
Sergio Chiamparino, ora candidato per il centrosinistra alla presidenza della Regione, se lo ricorda bene quello “schiaffo” dell’ottobre 2006, quando il governo amico di Prodi scelse Milano come sede dell’esposizione universale. Milano, guidata dal centrodestra, e non Torino, guidata da Chiamparino.
Così Chiamparino si toglie un sassolino. “Viste le notizie di questi giorni sugli arresti per Expo – dice – voglio ricordare che le nostre Olimpiadi invernali sono state l’unico grande evento degli ultimi decenni in cui non c’è stato nessun episodio nemmeno lontanamente paragonabile a questo. Anzi abbiamo chiuso con un attivo nella gestione di una decina di milioni e con un risparmio sugli investimenti di quasi 100 milioni che oggi hanno permesso di creare un tesoretto a vantaggio dello sviluppo turistico e della manutenzione delle opere olimpiche delle valli. Quello che voglio dire è che non è detto che le grandi opere debbano per forza portarsi dietro infiltrazioni e corruzione”.
Quando fu scelta Milano, Torino veniva da una formidabile Olimpiade invernale, dove quasi tutto era filato liscio, senza arresti, senza tangenti, senza infiltrazioni mafiose (anche se un’inchiesta con 17 indagati coinvolse, tra gli altri, il viceministro Martinat). Eppure a Torino e nelle valli olimpiche erano arrivati quasi 5 miliardi tra cantieri olimpici, opere di accompagnamento e organizzazione dell’evento.
“Sì, allora mi ero arrabbiato – ricorda Chiamparino – Avevamo sottoposto a Enrico Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, la candidatura di Torino. Letta ci aveva detto che ne avremmo parlato in modo più approfondito, invece abbiamo poi saputo dai giornali della scelta di Milano. Se la candidatura di Milano era del tutto legittima, come grande metropoli italiana e centro finanziario, anche la nostra aveva un senso non da poco, visto che avevamo da poco dimostrato di sapere organizzare un’Olimpiade”.
Ora, però, è tempo di garantire al Piemonte il massimo di ricadute dall’evento milanese. E Chiamparino, lo ha detto fin dall’esordio di questa campagna elettorale, a mangiare polenta nell’alessandrino: l’obiettivo è fare del Piemonte la Borgogna d’Italia.
“Se l’Expo ha l’ambizione di fare riflettere il mondo su come nutrire il pianeta, il Piemonte, non solo è terra del buon cibo ma anche casa della sicurezza alimentare. Abbiamo un Istituto zooprofilattico che lavora per tutta Italia per garantire la sicurezza del cibo. Ma in Piemonte siamo anche molto avanti sulle filiere corte, grazie anche al lavoro culturale fatto da Slow Food sul rispetto delle biodiversità del Pianeta. E abbiamo un turismo che già oggi frequenta le nostre campagne per il cibo di qualità della tradizione. Si tratta di spostare in Piemonte una parte di turisti in visita a Milano e fare in modo che, nel lungo periodo, il cibo di buona qualità da consumare in qualche luogo piacevole sia sempre più associato all’immagine del Piemonte”.
Tra i dirigenti di Expo (non indagato per l’evento milanese), c’è anche Cesare Vaciago, che dal 1998 al febbraio 2013 è stato direttore generale del Comune di Torino, proprio con Chiamparino.
Se la Regione, con Cota, aveva avviato i progetti per non lasciare il Piemonte fuori dal giro dell’Expo, ora, il vero problema sarà garantire le risorse e non arrivare troppo tardi.
“Non so a che punto è arrivata la questione della gestione del cluster dedicato al riso. Ma già a partire da questa opportunità si può legare l’offerta di itinerari gastronomici legati proprio al riso. Poi si possono immagine pacchetti turistici collegati a tutti i grandi prodotti enogastronomici piemontesi. Ma adesso posso solo sperare che la Regione in questo periodo si sia portata avanti con il lavoro in modo da non arrivare troppo tardi ad inventare dei progetti per i quali il tempo rischia di non esserci”.
In ogni caso, anche per Chiamparino lo sviluppo passa per le produzioni alimentari, di qualità.
“Dobbiamo parlare di “filiera del territorio”. Un territorio che deve essere conservato e mantenuto. Un territorio che frana o che è ricoperto di cemento non è un posto che possa produrre cibo di qualità. Ma il territorio deve essere rappresentato in tutti i passaggi della filiera, una filiera il più possibile corta, dal produttore al consumatore e il più possibile sicura. Il Piemonte può trovare un nuovo sviluppo anche nel cibo. Ma se sapremo offrire un territorio sano che produce cose buone e sicure e un territorio bello, che sappia essere attrattivo mettendo insieme la sua storia, il suo paesaggio e la sua buona cucina. Una strada che porta anche parecchi posti di lavoro”.