Carrù (CN), la carne piemontese ha la sua casa
Mucche, tori e buoi di razza piemontese hanno la loro “casa”.
È il primo museo dedicato alla celebre mucca bianca con la gobba dalla cosce enormi, che se sempre viene allevata tra i pascoli delle alte valli cuneesi (2000-2500 metri) e i prati della pianura.
La sede non poteva che essere a Carrù (CN), paese tra la piana e le Langhe che è il capoluogo della carne piemontese. Il nuovo fabbricato allestito dal curatore Livio Taricco è situato accanto alla sede delle due associazioni che curano lo sviluppo e la promozione della carne di razza piemontese: Anaborapi e la più nota Coalvi.
L’apertura dell Casa arriva mentre la carne di “piemontese” ha in corso il riconoscimento IGP, una battaglia, tutta europea, che dura da troppo tempo e che dovrebbe finalmente concludersi nei prossimi mesi. Lo stesso ministro alle politiche agricole Maurizio Martina, promette il massimo dello sforzo del governo italiano per aggiungere questa razza così celebre e nello stesso tempo così poco valorizzata, alle famose IGP del food italiano.
La “Casa della Piemontese” è un museo multimediale che sarà anche utilizzato come spazio di incontri e di divulgazione. Nel percorso espositivo si spiega la storia di questa razza bovina, si spiegano le ragioni del suo successo culinario e si spiega pure come si alleva. L’allestimento si gioca sul rapporto stalla-pascolo e sul rapporto montagna-pianura, le due grandi stagioni dell’allevamento transumante.
Quindi la Piemontese che è la razza da carne italiana più famosa e diffusa (la Chianina viene dopo), ha ora il centro promozionale.
Il problema, adesso, sarà riempirlo di eventi e di visitatori.
Il primo pensiero è di portarci le scuole della zona, perché conoscano meglio una delle grandi risorse economiche del Cuneese. Poi si pensa anche ai gruppi di turisti, magari gli stessi che sono in tour nelle vicine Langhe. La sfida, dunque, è la promozione.
Intanto, la carne di razza piemontese sta facendo tornare i giovani nelle stalle (l’età media è di 46 anni). Il problema, per questa razza dai bassi contenuti di grassi ma dalla grande gradevolezza di gusto, è semmai che non può contare su produzioni di larga scala. La mucca piemontese sta rendendo “ricchi” allevatori che qualche anno fa non avrebbero magari trovato i figli disposti ad impegnarsi in questo lavoro pieno di rinunce e sempre appeso al filo delle incognite. Oggi, i 350mila capi allevati da 1400 aziende, danno lavoro a una filiera dai numeri importanti con circa 4500 operatori tra macelli e macellerie. E il reddito c’è. Si parla di un giro d’affari di 500 milioni di euro alla stalla e di oltre un miliardo se si guarda alla vendita al dettaglio.
L’anno scorso, per la prima volta, anche Mc Donalds ha lanciato l’hamburger di carne di razza Piemontese, operazione che, sommata al contratto con la Camst per il rifornimento delle mense scolastiche torinesi e a quello per le mense milanesi, ha lanciato definitivamente la carne Piemontese nel consumo nazionale. Ora la Piemontese copre il 20 per cento del mercato nazionale grazie anche al lavoro di Coalvi che presenta questa carne con il celebre marchio rosso presente in molte macellerie della regione.
Ma c’è una tegola che sta per abbattersi su questo prodotto che sembra lanciato verso il futuro. L’Europa vuole abolire le “etichettatura volontaria” dei prodotti, cioè quelle etichette che hanno saputo creare un forte legame con il consumatore, perché frutto, appunto di un approccio volontario e non obbligato. Il marchio Coalvi, per esempio, ha sempre rappresentato un punto di riferimento di qualità per il consumatore perché è stato uno dei primi a tracciare con grande precisione un prodotto come la carne dove hanno sempre regnato il far west e gli scandali alimentari.
Non è un caso che a Carrù ricordino bene lo scandalo di mucca pazza, ma in positivo: «Quando c’è uno scandalo alimentare legato alla carne, la gente si rifugia sotto il marchio sicuro di Coalvi», si ripete spesso.
Adesso tutta questa fiducia potrebbe essere difficile da perpetuare. In Europa sarà decisiva la missione del ministro alle politiche agricole Maurizio Martina il prossimo 13 dicembre che dice: «Non c’è alcun dubbio che quella dell’etichettatura sia una partita cruciale perché più diamo informazione corretta e più il consumatore si fida dei nostri prodotti».
Ma l’etichettatura volontaria crea distinguo fastidiosi per i big players del food che vorrebbero parlare di qualità ma avere le mani libere per scegliere materie prime solo dove il prezzo è più basso.
Quindi, sulla qualità tracciata e certificata si gioca tutto. La partita delle etichette, per la Piemontese è come una vera finale di Champions league.