Calorie, ecco come sbagliano le etichette
I conti delle calorie sono sempre sbagliati. Perché non tengono conto del nostro specifico metabolismo, diverso in ogni individuo.
Passiamo tempo a leggere le etichette e a documentarci sulle calorie che possiamo ingerire senza ingrassare, ma, secondo nuove teorie scientifiche, le informazioni non possono essere mai quelle corrette.
Intanto, il sistema per misurare le calorie degli alimenti è troppo vecchio. E poi non funziona un calcolo generalizzato basato sugli alimenti e non sulle nostre capacità digestive.
Il metodo attuale è stato inventato da un chimico americano nell’800, Wilbur Olin Atwater, e si basa sul calcolo della quantità media di calorie contenute in un grammo di grasso, di proteine e carboidrati. L’unità di misura, come sanno tutti, è la chilocaloria che equivale alla quantità di energia necessaria per riscaldare di un grado Celsius un litro di acqua. Secondo questo indice i grassi forniscono al nostro corpo 9 calorie per grammo; carboidrati e proteine forniscono 4 calorie per grammo; le fibre 2 calorie per grammo.
Così basta pesare in ogni alimento questi 4 componenti base per determinare l’apporto energetico espresso in Kcal ogni 100 grammi di prodotto.
Ma secondo nuovi studi questo metodo consolidato sarebbe assolutamente impreciso. Perché non tiene conto del nostro modo di assumere le calorie per arrivare a renderle disponibili alle cellule che usano l’energia per regolare il metabolismo del corpo.
Secondo Rob Dunn, biologo e ricercatore alla North Carolina State University, che riprende su “Scientific American” teorie sempre più diffuse tra i ricercatori americani, il calcolo delle calorie assunte con il cibo può essere effettuato solo su base individuale e per di più tenendo conto di quali parti di cibo abbiamo mangiato e di come il cibo è stato preparato.
Dunn riprende gli studi sulla cottura del cibo, in particolare della carne, di Richard Wrangham, biologo di Harward, che ha dimostrato come gli alimenti cotti forniscano al nostro organismo molte più calorie degli equivalenti crudi e che la cottura su fuoco della carne sia sta alla base dell’evoluzione umana. Inoltre, cita le ricerche di Rachel N. Carmody, altra ricercatrice americana, che somministrando batate dolci e manzo magro a topi di laboratorio, ha alternato cibi cotti e cibi crudi, osservando un significativo aumento del peso e di massa corporea solo per i topi che avevano mangiato cibi cotti. Un altro studio condotto su persone che mangiavano porzioni di pane integrale con vari tipi di semi, tra cui chicchi di frumento, e su persone che mangiavano pane bianco, ha dimostrato che, a parità di calorie dichiarate nell’etichetta, il gruppo che aveva mangiato il pane integrale misto a semi, aveva invece assunto il 10 per cento in meno di calorie. Le pianti, infatti, hanno sviluppato l’adattamento ben noto che permette di propagare i propri semi attraverso le feci degli animali e dell’Uomo che li hanno ingeriti. Il presupposto, è, naturalmente, che i semi interi sono resistenti alla digestione e vengono evacuati nelle feci mantenendo la loro capacità germinativa. E se restano integri non vengono assimilati dall’organismo, dunque non forniscono alcuna caloria.
Altro studio citato è quello sulla lunghezza dell’intestino di due popolazioni, una russa e una polacca. I russi esaminati hanno un intestino crasso più lungo di 57 cm. Nell’intestino crasso avvengono gli assorbimenti finali dei nutrienti, prima della formazione delle feci. Quel gruppo di russi aveva dunque la capacità di assimilare meglio gli stessi cibi rispetto al gruppo dei polacchi.
La cessione di calorie al nostro corpo dipende quindi da diversi fattori.
1) Le parti dell’alimento intero.
Un cuore tenero di sedano o di un carciofo, oppure un frutto maturo, hanno pareti cellulari meno resistenti delle parti esterne o di un frutto acerbo. Foglie di insalata più vecchie hanno cellule più resistenti rispetto a foglie più giovani. E una cellula degradata fornisce tutto il suo contenuto nutritivo, al contrario di una che non si lascia perfettamente intaccare. Quindi, più tenero o più maturo uguale più calorie.
2) L’evoluzione delle piante.
Ci sono semi che hanno sviluppano, nel corso dell’evoluzione, una spiccata resistenza agli attacchi digestivi degli animali e dell’Uomo, per cercare di passare indenni attraverso gli organismi per poi finire più lontano rispetto alla pianta madre e diffondere così più facilmente la specie. Questi semi, (come le arachidi, i pistacchi, le mandorle) anche se frantumati grossolanamente con la masticazione mantengono una grande resistenza alla digestione, tant’è vero che spesso ne osserviamo i frammenti nelle nostre feci. Dunque, non rilasciano completamente il contenuto nutritivo di cui dispongono e il nostro corpo non ne assume tutte le calorie potenziali. Anzi, uno studio su persone che avevamo mangiato mandorle ha rivelato che le calorie assunte erano state soltanto 129 per porzione rispetto alle 170 dichiarate in etichetta.
3) La cottura
Quando l’Uomo ha imparato a cuocere la carne ha iniziato ad assumere molte più calorie di quando passava il tempo a masticare carne cruda. La cottura della carne delle prede, iniziata con la diffusione del fuoco, ha permesso all’Umanità di ottenere più nutrimento a parità di sforzo. La cottura degrada le proteine che diventano più assimilabili e uccide i batteri che mettono sotto sforzo il sistema immunitario con conseguente consumo di calorie. Grazie a questa maggiore disponibilità di nutrimento con il consumo di carne cotta, si è ingrossato il cervello umano e l’Uomo ha aumentato statura, muscolatura e capacità riproduttiva.
4) La fisiologia individuale.
Non tutti digeriamo allo stesso modo e quindi tra le persone ci sono capacità anche molto differenti di assimilare le calorie del cibo. Le etichette non tengono conto delle calorie necessarie alla digestione ma è perfettamente noto che, per esempio, le cellule vegetali sono lunghe da digerire rispetto a quelle animali, così le proteine richiedono più tempo dei grassi. Vegetali ricchi di fibre, poi, si digeriscono solo in piccola parte. Il miele, al contrario, si digerisce quasi senza impiegare calorie. Ma ci sono anche le differenti capacità di consumare meno calorie per la digestione (anche in relazione all’età e allo stato di salute).
Poi, come detto, c’è la differente capacità di assimilazione . Oltre alla diversa lunghezza dell’intestino negli individui può cambiare di molto la flora batterica intestinale. Ricerche hanno provato che molte persone obese hanno una maggiore quantità di batteri appartenenti al phylum Firmicutes, ipotizzando che l’obesità derivi proprio dalla maggiore presenza di questi batteri intestinali che aumenterebbero la capacità di assimilare calorie dal cibo. Alcuni giapponesi (altra ricerca) hanno nell’intestino un batterio che permette meglio di metabolizzare alghe marine.
Ecco quindi che le calorie che otteniamo con il cibo sono il risultato di meccanismi differenti, che solo in minima parte possono essere sintetizzati dall’indicazione calorica nelle etichette.
La vera frontiera sarà, a questo punto, non solo un’etichettatura più precisa che tenga conto di come il cibo è davvero presente nella confezione ma soprattutto di come il nostro organismo incamera calorie.
A ciascuno le sue calorie, quindi, ma a dirci quante devono essere potranno essere solo analisi cliniche e la sintesi di un dietista.