615 mila maiali italiani spariti, prosciutti a rischio
In Italia sparisce il maiale. Anche nella produzione di prosciutti e salcicce, uno dei settori più tradizionali della nostra economia, le carni importate a basso costo stanno sostituendo quelle dei suini emiliani e lombardi.
Solo nell’ultimo anno sono scomparsi in Italia 615mila maiali “sfrattati” dalle importazioni di carne dall’estero per realizzare falsi salumi italiani di bassa qualità, con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti della norcineria nazionale, dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma, la cui produzione è calata del 10 per cento dall’inizio della crisi nel 2008.
E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme sul futuro di uno dei settori di punta della produzione agroalimentare nazionale dove trovano occupazione 105mila addetti tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione, ora in pericolo.
La chiusura forzata degli allevamenti è stata causata dall’impossibilità di coprire i costi di produzione per i bassi prezzi provocati dalle importazioni dall’estero di carne di bassa qualita’ per ottenere prosciutti da “spacciare” come Made in Italy per la mancanza dell’obbligo di indicare in modo chiaro in etichetta la provenienza.
In Italia due prosciutti su tre oggi provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta.
Un inganno per i consumatori e un danno per gli allevatori italiani impegnati a rispettare rigidi disciplinari di produzione per realizzare carne di altissima qualità che da mesi non viene neanche piu’ quotata.
I macellatori disertano infatti l’apposita commissione prevista alla “Borsa del maiale” di Mantova dove viene fissato ogni giovedì il prezzo di riferimento nazionale.
Il blocco favorisce le speculazioni e mette a rischio il futuro del maiale italiano che ha caratteristiche e soprattutto alimentazione nettamente migliore rispetto ai prodotti che invadono il mercato dall’estero.
Senza un prezzo di riferimento le aziende non sanno come muoversi ed il rischio per gli allevatori è quello di rimanere incastrati nel gioco al ribasso del mediatori che sottopagano il prodotto e spingono alla chiusura degli allevamenti.
“E’ una situazione – spiega la Coldiretti – che rischia di compromettere per sempre la potenzialita’ produttiva nazionale con una destrutturazione degli allevamenti difficilmente recuperabile che mette a rischio l’essenza stessa di molti tesori agroalimentari del Made in Italy per i quali si registra nonostante la crisi un aumento della domanda interna ed estera. Gli acquisti domestici dei salumi Dop/Igp sono aumentati in valore dell’1,9 per cento nei primi nove mesi del 2013 rispetto all’anno precedente ma sono cresciute anche le esportazioni delle carni suine preparate in salumi ed altro”.
Gli allevatori della Coldiretti mettono sotto accusa anche gli insostenibili squilibri nella distribuzione del valore dalla stalla alla tavola: per ogni 100 euro spesi dai cittadini in salumi ben 48 euro restano in tasca alla distribuzione commerciale, 22,5 al trasformatore industriale, 11 al macellatore e solo 18,5 euro all’allevatore. In media all’allevatore i maiali allevati sono pagati circa 1,4 euro al chilo ma il consumatore spende oltre 23 euro al chilo per il prosciutto Dop.
“Una forbice troppo larga che danneggia cittadini e allevatori italiani costretti a chiudere le stalle. In Italia nel 2013 sono allevati – conclude la Coldiretti – meno di 8,7 milioni di maiali (erano 9,3 milioni nel 2012) destinati per il 70 per cento alla produzione dei 36 salumi che hanno ottenuto dall’Unione europea il riconoscimento di denominazione di origine (Dop/Igp). Il settore della produzione di salumi e carne di maiale in Italia, dalla stalla alla distribuzione, vale 20 miliardi”.