Il tartufo d’Alba star di Expo e del Giro d’Italia 2015
Il tartufo, quello bianco d’Alba, sarà protagonista a Expo 2015. Negli spazi del padiglione Italia gestiti dal Piemonte, sarà allestita una tartufaia didattica, un piccolo bosco con alberi micorrizzati, terriccio e humus per dimostrazioni sulla biologia e sulla ricerca del tubero più pregiato del mondo. Le scolaresche e i visitatori adulti saranno invitati a giocare con il mondo dei tartufi.
“Sarà un modo efficace per promuovere il tartufo delle Langhe – ci ha spiegato l’assessore regionale Alberto Cirio, che tra le varie cose ha anche la delega alla promozione della tartuficoltura piemontese – E sarà anche uno strumento per fare capire che il tartufo bianco, prodotto della natura che finora nessuno è riuscito a coltivare, è parte di un ecosistema che va preservato. Senza la tutela dei boschi e delle tartufaie perdiamo i nostri tartufi”.
Il tartufo sarà anche la star della tappa langarola del Giro d’Italia 2015, con l’arrivo a Canale, capoluogo del Roero. La conferma da Rcs e Gazzetta dello Sport non è ancora arrivata ma la trattativa con gli organizzatori del Giro è ormai a buon punto. L’arrivo di una tappa del Giro, con tutta il suo caravanserraglio di squadre, tecnici, giornalisti di tutto il mondo, sponsor, è sempre un momento efficace di promozione di un territorio, che per contratto deve essere mostrato e raccontato ai telespettatori che seguono la tappa in Tv. E con il territorio si promuovono anche i prodotti.
Ma il tartufo è davvero un business? Dietro il tubero odoroso c’è dietro una vera economia? Oppure si sta sopravvalutando una nicchia succhiafondi che non porta vero reddito alle Langhe e non porta posti di lavoro? “Che il tartufo sia un business è fuori dubbio – ci ha ribattuto l’assessore – Ma la sua forza non sta nella capacità di generare un’economia diretta. Il valore aggiunto è nell’economia indiretta, legata al turismo, al marchio di eccellenza territoriale, al consumo, conseguente di prodotti come il vino e i cibi delle Langhe. Grazie al tartufo si vende un territorio con le sue offerte turistiche e agroalimentari. Il tartufo è un passpartout che apre le porte dell’economia verso l’esterno, dove il tartufo mantiene quell’aura misteriosa di dono della natura in simbiosi con i colori autunnali e le brume invernali. Chi all’estero mangia tartufi, prima o poi ha voglia di venire a vedere dove nascono”.
Questa fu l’intuizione di Giacomo Marra e Roberto Ponzio inventori della Fiera internazionale del tartufo di Alba, nata negli anni ’30, e del marketing del tartufo che, prima del boom economico, era un oggetto di scambio, nemmeno tanto apprezzato dai contadini di Langa che lo tenevano per pagare la visita del medico o del veterinario. Il tartufo è sempre stato consumato fin dai tempi dei Romani. Era presente nelle corti rinascimentali e nelle mense di Casa Savoia, molto consumato da Vittorio Emanuele II, il re forse più legato alla terra. Ma fino agli anni ’60 non era poi così conosciuto nel mondo.
Oggi, il vero problema è difendere un prodotto che vale circa 2.000 euro al Kg partendo dal suo ambiente. La “valorizzazione” del tartufo passa certamente dalla lotta alla contraffazione geografica (è tutelata l’indicazione di specie con le denominazioni “bianco italiano”, “bianco d’Alba”, ma non viene accerta la provenienza), così come la tutela dell’acquirente attraverso una garanzia di qualità (le certificazioni emesse sui tartufi della Fiera d’Alba), ma soprattutto attraverso la tutela dell’ambiente agronaturale dove può nascere.
Dalle tasse regionali per i “tesserini” di raccolta, la Regione incassa circa 550mila euro l’anno (per circa 4000 trifolau). La Consulta regionale sul tartufo destina questi soldi principalmente ad attività di salvaguardia ambientale. “Prima i soldi venivano incamerati nella fiscalità regionale. Oggi, vengono destinati alla tartuficoltura. Vengono girati all’Ipla per programmi di salvaguardia degli ecosistemi e del prodotto. Per esempio, la metà di questi fondi la spendiamo per indennizzare i proprietari che non tagliano alberi tartufigeni. Per fare in modo che anche loro possano trarre vantaggio dal tartufo e rinunciano a tagliare il bosco”.