Pane duro e pasta scotta, colpa dell’inquinamento
L’inquinamento globale sta cambiando anche le farine e le semole. Se non verranno brevettate nuove varietà di grano più resistenti, l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera renderà sempre più difficile fare pane e pasta. La crescita, ormai esponenziale, dell’anidride carbonica, influisce negativamente sulla struttura delle proteine del chicco che nell’impasto con acqua formano il glutine la componente che determina l’elasticità e la compattezza delle farine. In pratica, con l’inquinamento, si hanno farine che non tengono bene l’impasto e che cedono nella pressione delle bolle di anidride carbonica prodotte con la lievitazione. Il risultato è un pane piccolo e poco soffice, o un pasta che si squaglia alla cottura.
Il problema è noto da tempo agli addetti ai lavori: sono parecchi i centri di ricerca agricola in cui si stanno sperimentando gli effetti dell’aumento di CO2 sul frumento e si studiano nuovi grani in grado di resistere all’aumento dell’anidride carbonica. Manca, però, una piena consapevolezza del problema nel Paese dove più si consumano pane e pasta. Per capirne di più abbiamo chiesto aiuto a una neolaureata in tecnologie alimentari, la torinese Chiara Balbo, che ha passato in rassegna gli studi sulle “implicazioni tecnologiche nei processi di panificazione e pastificazione delle farine di frumento in seguito all’aumento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica” per la sua tesi di laurea svolta sotto la supervisione del professor Ezio Portis, dell’Università di Torino www.disafa.unito.it.
A Fiorenzuola d’Arda, in provincia di Piacenza, il Crea, il principale ente pubblico di ricerca agroalimentare pubblico italiano, conduce studi sulle conseguenze dell’aumento della CO2 sul grano duro (Triticum durum). Un altro importante centro di ricerca è in Germania, la stazione sperimentale dell’Università di Hohenheim, dove si studiano gli effetti sul grano tenero (Triticum aestivum).
I testi sono condotti diffondendo anidride carbonica sui campi di grano nelle diverse fasi di crescita. La Co2 viene insufflata nelle concentrazioni previste per i prossimi decenni dagli organismi internazionali che studiano i cambiamenti climatici.
Per capirci, per misurare l’aumento negli anni dell’anidride carbonica in atmosfera si prende come riferimento il 1750, anno in cui il chimico inglese Joseph Black ipotizza la sua concentrazione nell’aria. Siamo nell’era pre-industriale e la concentrazione di CO2 è fissata a circa 280 parti per milione di aria. Nel 2011, la media mondiale di CO2 in aree non particolarmente inquinate, è salita a 390 parti per milione. Ed è destinata a salire ancora, rapidamente, come sta avvenendo nelle aree più popolate del mondo ad iniziare dalla nostra Pianura Padana, dove le concentrazioni sono intorno alle 400 parti per milione (450 ppm nella periferia di Torino).
Nelle stazioni sperimentali si studia il comportamento del grano fino alle concentrazioni di Co2 in atmosfera ipotizzate per l’anno 2100, cioè fino a 570 ppm.
I risultati sono analoghi ad altri studi condotti in altri Paesi del mondo. Il fenomeno, per esempio, è stato già studiato negli Stati Uniti dall’Agricultural research service del Dipartimento dell’agricoltura.
Succede questo: da una parte, la crescita della CO2 fa aumentare la resa, influendo positivamente sul processo di fotosintesi, ma dall’altra, fa crollare le proteine che compongono il glutine. In media la perdita di contenuto proteico è del 7% ma a Fiorenzuola d’Arda le proteine sono crollate a meno 11%. Sembra poco, ma, in realtà, utilizzando la farina ottenuta si è visto che il pane presenta una forte difficoltà a lievitare e la pasta diventa meno “tenace”, con una minore tenuta alla cottura. In pratica, il glutine, formato da gliadine e glutenine, forma un reticolo troppo debole per il grano duro e per la pasta non è in grado di trattenere bene i granuli di amido; mentre per il grano tenero, nella lievitazione, il reticolo indebolito non riesce a trattenere i gas della fermentazione-lievitazione togliendo “forza” alla farina che non forma bolle.
A questo punto, se si vuole avere ancora la pasta al dente e il pane soffice, c’è la strada della riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera. Ma, visto che la degradazione del grano è così veloce, mentre la politica cincischia sulle misure per ridurre l’inquinamento, la ricerca agronomica cerca di correre ai ripari il più velocemente possibile. E la soluzione sembra, ancora una volta, affidata al miglioramento genetico, cioè creare nuove varietà di grani, in questo caso meno sensibili al “nutrimento” che arriva dalla CO2 presente nell’aria e che mantengano una buona struttura di proteine del glutine.
Soltanto che per mettere in commercio una nuova varietà ci vogliono anche 10-12 anni. E per pane e pasta il tempo stringe.