Tra i filari del biellese, dove il vino vuole tornare protagonista
Di fronte a noi distese di boschi. “Nel ‘700 e nell’800 erano tutte vigne, oltre 400 mila ettari. Il Biellese è stato, con la Borgogna, tra i primi a commercializzare il vino. Veniva venduto soprattutto alle comunità montane, che, in cambio, ci fornivano il ghiaccio che usavamo per conservare gli alimenti”, ci raccontano alcuni produttori. Poi, agli albori del ‘900, arrivano la mosca fillossera, che stermina le viti, e la terribile grandinata d’inizio secolo. Nello stesso tempo si ha il boom del tessile. Eventi non correlati, che, presi insieme, decretano la fine della produzione vinicola nel territorio.
A curiosare per le colline del biellese, oggi, sembra quasi di tornare indietro nel tempo, tra piccoli castelletti rimessi a nuovo e cascine ristrutturate, dopo un abbandono di oltre un secolo. E’ in questi luoghi che si tenta di tornare, a piccoli, piccolissimi, passi, al primo grande amore, sfruttando lo stato di crisi (reale o soltanto apparente?) del tessile.
Come una ruota che gira: prima il vino, poi il tessile. Ora, forse, di nuovo il vino. Chissà.
Ad accoglierci all’azienda La Badina c’è Ermido. Lui, con la figlia Lida, ha abbandonato il precedente lavoro per puntare sul vino. Nel 1999 ha ristrutturato una cascina seicentesca, invasa della vegetazione e senza nemmeno una strada per arrivarci, si è rimboccato le maniche e ha iniziato a coltivare mezzo ettaro di vigna, producendo piccole quantità di Lessona DOC.
Sì, il Lessona. Il vino con cui “Quintino Sella brindò all’Unità d’Italia”. Il vino quasi scomparso, che, oggi, in zona, vanta sette produttori ma ben due Associazioni. Il vino che, nel 2015, ha raggiunto una produzione di 40.000 mila bottiglie, un’enormità se paragonate alle cinquemila di 15 anni fa. Quella di Ermido e di Lida è una scommessa, il cui esito è difficile da pronosticare. “Siete matti ad acquistare La Badina, ci dicevano tutti.”
Diversa è la storia della famiglia Clerico che, insieme alla famiglia Sella, ha avuto la lungimiranza di continuare a produrre piccole quantità di Lessona anche nei periodi più bui, scongiurando, in questo modo, la scomparsa definitiva della DOC. Massimo Clerico, discendente di questa stirpe di vignaioli che fonda le proprie radici nel 1700, è il ritratto dell’ottimismo. Ha ristrutturato la storica cantina di famiglia e oggi coltiva due ettari di vigne a cui, presto, si aggiungerà un ulteriore mezzo ettaro. “Il 96% della nostra produzione va all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e, in parte, in Malesia. A Kuala Lumpur le bottiglie del nostro vino arrivano a costare fino a 200 dollari. Ultimamente abbiamo anche fornito il ristorante di Bastianich a Singapore”. Non si tratta di esterofilia del produttore ma di diffidenza da parte degli operatori enogastronomici della zona, che preferiscono puntare su prodotti di altre zone piemontesi. “Poco tempo fa abbiamo invitato tutti i ristoratori del territorio a conoscere e degustare gratuitamente i nostri vini. Si sono presentati soltanto in due”.
Dalle cascine restaurate al magnifico Castello di Castellengo, che domina un’ampia vallata di boschi, il passo è breve. Anche qui, come nelle precedenti tappe, ci troviamo di fronte ad una storia plurisecolare, a piccole produzioni e ad un grande ottimismo per il futuro. Il lavoro, certo, è ancora lungo, ma la concorrenza del tessile non spaventa “Il Biellese potrebbe diventare come il Veneto, dove diversi settori coesistono senza problemi”, ci dicono i proprietari della casa vinicola Centovigne, ospitata nelle cantine del Castello. Da un castello all’altro, finiamo il nostro giro nell’incantevole Castello di Montecavallo, di proprietà della storica famiglia Avogadro, che lo costruì a metà dell’800 sui resti di una propria casaforte. Nelle vecchie cantine si possono trovare pezzi da collezione come il torchio del 1837 e bottiglie di vino che hanno ampiamente superato il secolo di vita. Nelle nuove cantine, l’Azienda Agricola Maria Reda dà vita a vini pregiati e di nicchia come il Coste della Sesia DOC, prodotto, sul territorio, da solo tre aziende per un totale di 20 mila litri all’anno. “Puntiamo a produrre dei vini che stupiscano, non vogliamo l’omologazione dei gusti”.
Buongiorno,
ho letto con piacere l’articolo che avete scritto sul mio territorio d’origine, l’Alto Piemonte e vi ringrazio per lo spazio che ci avete dedicato. Avrei solo due precisazioni che reputo doveroso fare:
1) i vigneti in Alto Piemonte tra ‘700 ed ‘800 erano sì molto numerosi, ma la superficie complessiva era di 45mila Ettari e non 400mila.
2) il Coste della Sesia è una delle denominazioni più prodotte nella nostra zona e, vado a memoria, sono almeno una trentina le aziende a produrlo.
Grazie della preziosa segnalazione. Ne terremo conto per verificarla.