Un buon panettone? È una questione di bolle
Un buon panettone, e un ottimo pandoro, nascono dalle bolle.
Il risultato della pazientissima preparazione dei due dolci natalizi più famosi dipende soprattutto dalla fase della lievitazione. È in questo lento processo che si gioca tutto. Un processo a cui devono essere adattati anche l’impasto e la lavorazione della pasta che avvengono soprattutto in funzione della lievitazione.
Perché ottenere un dolce voluminoso e, nello stesso tempo, soffice in ogni boccone, sviluppato in altezza e non “schiacciato” non è una cosa facile. Dietro, ci sono quasi due secoli di storia e astuzie segrete che si tramandano all’interno delle famiglie di artigiani pasticceri e imprenditori dolciari.
Come fanno alla Maina, azienda che dopo gli anni del primato dei “milanesi” (Motta, Alemagna… li ricordate?), oggi porta il panettone piemontese (quello con sopra la glassa di nocciole) nelle case di tutti gli italiani ed è il più grande produttore di pandoro fuori dal Veneto.
Alla Maina, di Frazione Tagliata di Fossano (CN), per fare un panettone ci impiegano 60 ore (sì, due giorni e mezzo) e per fare un pandoro ci mettono 48 ore.
Per ottenere una struttura della pasta tutta a bollicine, che una volta cotta risulterà bella soffice, si parte dal “lievito madre” che si riproduce, sempre lo stesso, da 50 anni. Vuol dire che la pasta di lievito è sempre figlia dei primi lieviti utilizzati 50 anni fa sulla prima base di farina e acqua.
La struttura alveolare della fetta di panettone o di pandoro (per il pane è lo stesso) è data dalle migliaia di bollicine di anidride carbonica che si sono formate dentro l’impasto. In pratica, il lievito Saccaromyces, che si riproduce per “gemmazione”, è famelico. E più gli si dà da mangiare farina e acqua e più si riproduce. Con il suo metabolismo, il lievito produce fermentazione alcolica che ha, come prodotto di risulta, l’anidride carbonica, gas che rimane intrappolato nella pasta formando le bolle.
Ma se il lievito tende a creare grandi bolle, la tecnica sta nel fare in modo che la pasta sia invece cosparsa di piccole bollicine. Proprio quelle che, una volta cotta la pasta, con l’anidride carbonica evaporata, rendono il panettone e il pandoro belli aerati e soffici.
Per rendere piccole le bolle, per il pandoro si aggiunge il lievito di birra, che ha un’azione meno poderosa. Poi si dovranno fare “scoppiare” le bolle più grandi e, soprattutto per il panettone sarà fondamentale stiracchiare, modellare e tagliare la pasta per indebolire e indirizzare la sua forza di espansione.
Ma torniamo alla preparazione. Per assecondare il lievito nel processo di fermentazione si devono usare farine “di forza”, cioè farine ricche di glutine che sopportano lunghe lievitazioni grazie alla loro “rete glutinica” in grado di inglobare molta C02. Se si usassero “farine deboli” per effetto della lievitazione la pasta si strapperebbe e il panettone si affloscerebbe.
Alla pasta madre viene aggiunta farina e acqua per nutrirla e, siccome una buona fermentazione deve sempre avvenire in ambiente caldo, il lievito madre viene mantenuto in celle di riposo per 16 ore e poi in celle di fermentazione per 4 ore a 30-32 gradi. Infine, dopo un ulteriore passaggio di 4 ore, quando la massa è lievitata, ne viene tagliata via una parte che andrà a rimpolpare la riserva di lievito madre.
Il resto della pasta è pronta per la produzione.
Le impastatrici uniscono la pasta-lievito all’impasto vero e proprio che ovviamente costituisce, la massa maggiore. L’impasto contiene gli ingredienti classici: farina, acqua, burro, tuorlo d’uovo, per il panettone; mentre per il pandoro si usano uova intere e si aggiunge latte fresco. Qui è latte fresco, altri marchi usano latte in polvere.
L’impasto viene, appunto, impastato, e viene lasciato in lievitazione per 12 ore. Quando viene immessa negli appositi contenitori metallici (enormi) la pasta riempie un terzo del contenitore. Quando esce dai locali di fermentazione la si vede addirittura debordare: è, appunto, l’effetto delle milioni di bolle di anidride carbonica create dal pasto glucidico dei lieviti.
A questo punto, si aggiungono ancora farina e acqua per non lasciare a digiuno i lieviti ma per il panettone si aggiungono gli “ingredienti inerti”, cioè tutti quegli ingredienti che non servono a fare crescere ed amalgamare la massa in lievitazione ma che servono solo ad impreziosire il prodotto, come i canditi e l’uvetta, oppure le scaglie di cioccolato. Quando si producono panettoni o pandori farciti con creme, queste vengono, invece, iniettate dopo la cottura a prodotto terminato e freddo.
Seguiamo il panettone. La pasta mescolata a canditi e uvetta passa in macchine che la dosano, la spezzano e la arrotolano più volte su se stessa per rimescolare le tante “palle” che vengono fatte entrare nel “pirottini di cottura”, cioè nella base di carta da forno che dobbiamo togliere dalle fette di panettone quando lo tagliamo a tavola.
Queste palle sono deposte in involucri di carta aperti verso l’alto. Questi pirottini servono soprattutto a una cosa: indirizzare lo sviluppo verso l’alto ed evitare che le tensioni interne della pasta viva si sfoghino verso i lati rendendo il prodotto schiacciato verso il basso. Nei pirottini avviene l’ultima fase di lievitazione. Successivamente, sempre ad uno ad uno, i proto-panettoni, vengono tagliati a croce, sempre per rompere i legami della pasta verso i lati e favorire la crescita verso l’alto e formare la cupola che deborda dai pirottini. Poi, la cupola viene lucidata e, nel panettone piemontese, viene aggiunta sulla cupola la glassa alle nocciole.
A questo punto, l’esercito dei panettoni in fila entra nel forno a 170 gradi dove ci rimane per circa un’ora.
Dopo la cottura, i panettoni caldi vengono infilzati dagli aghi allo loro base per essere rivolti “a testa in giù”. Se rimanessero a cupola in su, con il raffreddamento, per forza di gravità si affloscerebbero. Al contrario, nel lento raffreddamento di 10 ore a temperatura ambiente in ambienti aerati i panettoni a testa in giù si stirano nella direzione giusta.
A questo punto, il panettone è pronto per essere, eventualmente, farcito con creme e per essere insacchettato. Qui ci vuole ancora un passaggio: nel sacchetto che contiene in panettone viene insufflato un aroma alcolico per evitare che sul dolce si formino delle muffe.
Grazie al suo processo produttivo e all’utilizzo di lievito madre, il panettone mantiene le sue caratteristiche organolettiche inalterate per un lungo periodo, senza l’utilizzo di conservanti, per oltre 6 mesi.
Una volta aperto, il panettone deve essere conservato nel suo sacchetto originale, ben chiuso con il laccetto e riposto in un ambiente fresco ed asciutto, lontano dalla luce e odori.