Provenza, la fregatura della lavanda che non c’è
Avrebbero potuto puntare sulle succulente varietà di albicocche; oppure sul grano, che dà un pane di qualità.
Invece, Provenza vuol dire lavanda.
Come dicono i siti turistici regionali la lavanda è il marchio della Provenza, il suo tratto distintivo. E così, grazie a romanzi, film, serie tv, e, a un abile marketing territoriale, da tutto il mondo, da metà giugno ai primi di agosto (ma anche dopo), arrivano i turisti per fotografare la mitica lavanda della Provenza.
Pensano di trovare paesaggi tra il viola dei fiori e il blu del cielo. E di scattare la classica foto di donna che emerge dai cespi lilla-violetti.
Invece la Provenza non è affatto cosparsa di lavanda.
Come tutte le colture, anche quella profumiera per eccellenza è soggetta agli andamenti del mercato: per qualche anno l’agricoltore può decidere che è più conveniente coltivare lavanda, per poi cambiare idea dopo 4-5 anni. Il paesaggio agrario è mutevole per definizione, anche se i suoi caratteri storici prevalgono sempre.
Così, la Provenza è terra di profumi ma è anche terra di grano duro e di olio. È terra di frutteti a pesco e ciliegie e soprattutto ad albicocche. La lavanda non è esclusiva.
Ma il turista lo scopre lì, una volta arrivato nel cuore della Provenza celebrata: il Luberon, spazio stretto tra le catene del Luberon e del Vaucluse. E se si percorre la bassa Provenza, fino a Grasse, “capitale mondiale dei profumi” la lavanda proprio non si vede mai.
La stessa Grasse è una città sfigurata dalla speculazione edilizia nel concentrico, e da una miriade di capannoni industriali e villette (siamo dietro la Costa Azzurra) senza un solo campo di qualche essenza profumiera.
Così per trovare la lavanda si deve girare il Luberon, ma in lungo e in largo. Solo così, i campi si trovano. E poi non è detto che siano al meglio. Qualcuno presenta i cespi pelati del dopo raccolta; altri sono ancora da fiorire.
Il posto classico da fotografare è l’abbazia cistercense di Sénanque, nei pressi di del paese medievale di Gordes, icona mondiale di una Provenza sospesa tra storia e natura. Poi, la zona di Vien, oltre il Colorado Provençal, spettacolare cava abbandonata di un’altra risorsa celebrata: le terre ocra per colorare gli intonaci e le pitture murali.
Anche senza la lavanda che ci hanno venduto nei siti internet, la Provenza rimane sempre un posto da vedere assolutamente. Ma non ha poi così tanto da invidiare al nostro Monferrato o alle Langhe.
Comunque, quando la si trova, la lavanda è da vedere al mattino. Diciamo entro le 9. A quest’ora la luce è radente e le foto vengono meglio ma, soprattutto, i fiori sprigionano il loro profumo e si ricoprono letteralmente di api. Il miele di lavanda è venduto ovunque, non a caso. Ma bisogna sempre tenere presente che le api vanno solo sulla lavanda a succhiare il nettare se lì è la coltivazione prevalente. Percorrono anche i chilometri, ma se il cartello “vente miele de lavande” è in un posto dove la lavanda è lontana 20-30 Km, è una possibile fregatura. Magari è miele buono lo stesso. Ma non è solo di lavanda; o non è affatto di lavanda. Poi, bisogna tenere presente anche che il miele è accumulato durante le scorribande sulle fioriture. Cioè non può essere miele di lavanda raccolto e centrifugato nei giorni stessi in cui siete lì a fare le foto. Per il miele dell’anno dovete aspettare agosto-settembre, altrimenti è miele dell’anno prima.
La lavanda è coltivata anche perché è una grande pianta mellifera, ma soprattutto perché è profumata.
Esistono molte varietà, che sono più indicate per la distillazione (l’essence), la produzione di fiori secchi, o di saponi. Hanno anche colori con sfumature diverse. E poi c’è il “lavandin”, che è diverso dalla “lavande”: è un prodotto più industriale, tanto che i profumi e i saponi al lavandin hanno prezzi più bassi.
La lavanda cresce qui perché è sempre cresciuta. Nel senso che è una pianta selvatica di tutta la zona montagnosa-secca che va dalle nostre valli piemontesi fino al Rodano. I ciuffi di lavanda si incontrano tra i pini silvestri sugli altipiani, ma questa lavanda selvatica è ovviamente molto meno profumata e produce fiori piccoli, perché non è frutto di selezioni millenarie. La lavanda selvatica c’è, comunque, anche in Piemonte: nei versanti esposti a sud dell’alta valle di Susa e dell’alta val Chisone (famosa la concessione di raccolta a Usseaux del cavalier Tillino dell’Albergian) e in alcune valli cuneesi.
Profumo di lavanda e di pino marittimo, vento caldo e il rumore sfrenato delle cicale. Borghi di pietra chiara e distese bionde di grani. La Provenza è tutto questo. Ma il Piemonte è molto di più, e nel Monferrato potrebbe essere tutto esaurito per 4 mesi, come nel Luberon.