Quando la mamma contamina il bambino
Analisi preventiva del latte materno, prima che la neo mamma inizi ad allattare con continuità il suo bambino.
È una proposta che inizia a farsi strada nel mondo scientifico e che parte dalla scoperta allarmante di una fortissima contaminazione del nostro organismo adulto da parte degli inquinanti residui del cattivo incenerimento dei rifiuti, dei roghi di rifiuti plastici (Terra dei fuochi), dell’utilizzo di pesticidi ed erbicidi in agricoltura.
L’analisi preventiva servirebbe ad evitare che diossine, Pcb, Ipa e altri contaminanti ambientali passino dall’organismo della madre al corpo del bambino.
Questi inquinanti, ormai ubiquitari, si fissano nel nostro tessuto adiposo e, nella mamma che allatta, si concentrano, disgraziatamente, proprio nel latte materno. Il neonato assorbe, così, i contaminanti anche se tenuto lontano da fonti di inquinamento e senza che la madre se ne accorga.
Una madre adulta, che oggi partorisce a 37-40 anni, quando si mette ad allattare può essere un vero concentrato di inquinanti, perché potrebbe avere una lunga storia di accumulo delle molecole dannose nel suo tessuto adiposo. Le sostanze che passa al bambino attraverso il latte sono frutto di un’esposizione alle molecole dannose che magari è vecchia di decenni e che è asintomatica.
Ma la trasmissione può protrarsi nelle generazioni successive.
Ci sono studi che dimostrano, addirittura, la trasmissione di diossine e Pcb anche due generazioni dopo la cessazione del contatto con gli inquinanti.
In Vietnam, le donne che tra la fine degli anni ’60 e il 1974 sono venute in contatto con l’Agente Orange, il defogliante spruzzato dai bombardieri Usa per rendere più efficaci gli attacchi col Napalm, hanno trasmesso la contaminazione alle loro bambine. Queste, a loro volta l’hanno trasmessa alle loro figlie che, oggi, con l’inquinamento ambientale pressoché scomparso, anche se non sono più a contatto con gli inquinanti continuano a trasmetterli ai loro bambini attraverso il latte.
In valle di Susa (TO) si è assistito ad un aumento delle malattie correlabili all’esposizione di diossine e Pcb e la trasmissione degli inquinanti attraverso il latte ha causato un disastro nelle aziende zootecniche.
Gli studi epidemiologici compiuti tra il 2006 e il 2008 hanno evidenziato, nella zona di ricaduta dei fumi dell’acciaieria Beltrame di San Didero (TO), in valle di Susa, un forte aumento dei casi di endometriosi tra le giovani donne, probabilmente correlato proprio all’assunzione di contaminanti depositati nella zona di ricaduta dei fumi dell’acciaieria attraverso la catena alimentare.
Dunque, conseguenze sulle donne e sugli animali. Anche se qui si è trovato il modo di decontaminare i tessuti delle mucche, almeno in parte. I monitoraggi conseguenti alla scoperta dell’inquinamento da Pcb (e in minima parte da diossine e diossine simili), nel 2006, avevamo messo in evidenza come la mungitura delle mucche (che avevano cessato di essere alimentate con foraggi inquinati) abbia progressivamente decontaminato i tessuti adiposi. In pratica, le mucche cedevano Pcb e diossine che, dal loro organismo, passavano al latte. Segno che il latte, in parte, drena queste sostanze dal tessuto adiposi.
Quindi non paiono esserci dubbi sulla capacità del latte di accumulare sostanze pericolose per l’organismo.
“Ci stiamo rendendo conto che tutto quello che immettiamo nell’ambiente ci torna indietro”, è la constatazione di Maria Caramelli, direttrice dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.
Tra l’altro, soprattutto nei primi 15 giorni ma fino ai tre mesi di vita, il bambino si sta ancora costruendo un sistema immunitario e il latte materno è l’unico alimento davvero consigliato per la dieta dei neonati.
“Il latte materno – spiega Bruna Santini, medico, responsabile dietetica e nutrizione clinica dell’ospedale Sant’Anna di Torino – deve essere l’alimento esclusivo per i primi 6 mesi di vita, così come prescrive l’Organizzazione mondiale della sanità. Poi non deve essere assolutamente abbandonato: deve costituire l’alimento principale fino al primo anno e poi deve, comunque, rappresentare una componente importante fino al secondo anno. Non bisogna assolutamente demonizzare di nuovo il latte materno, come si tendeva a fare nei decenni passati e si deve tornare a tempi di svezzamento meno frettolosi. La percentuale inferiore al 50 per cento di mamme che allattano al seno nei primi 6 mesi di vita è scandalosamente bassa. Dobbiamo diffondere l’allattamento al seno”.
Ma per tornare ad essere pratica comune l’allattamento al seno deve essere difeso da ogni rischio di contaminazione dell’organismo del neonato. Una lotta difficilissima, soprattutto dove sono presenti impianti, pratiche agricole, o pratiche illegali, che producono diossine, furani, Pcb.
“L’analisi degli inquinanti nel latte materno è ancora quasi inesistente. Anzi, abbiamo soltanto monitoraggi conseguenti alla scoperta di grandi casi mediatici di inquinamento – avverte Patrizia Gentilini, medico oncologo portavoce per la Campagna nazionale in difesa del latte materno dai contaminanti ambientali – Eppure è ormai certa la contaminazione dei nostri organismi da parte delle sostanze inquinanti. Nelle analisi del cordone ombelicale sono state rinvenute oltre 300 sostanze dannose per il bambino. Sappiamo che proprio queste contaminazioni, trasmesse dalla mamma al feto e poi con l’allattamento, sono una delle principali cause dell’aumento dei tumori infantili da zero a 14 anni. Eppure le molecole inquinanti sono talmente tante e sempre nuove che la ricerca non riesce a stargli dietro: è recentissima la scoperta che, un ritardante di fiamma utilizzato per anni nei giocattoli, nei Pc e nei rivestimenti per mobili, è altamente cancerogeno. E, una scoperta altrettanto recente, è il rinvenimento di questo composto nel latte materno. La cancerogenesi transplacentale è da poco riconosciuta e a questa si aggiunge la recente scoperta della cancerogenesi attraverso l’allattamento”.
Sotto accusa l’industria chimica, lo spargimento di pesticidi nei campi e soprattutto il cattivo incenerimento dei rifiuti.
“Assumiamo contaminanti per via aerea ma soprattutto con alimentazione attraverso prodotti inquinati. – continua la dottoressa Gentilini – Ma ce ne stiamo accorgendo da poco tempo. Tant’è vero che abbiamo ancora limiti emissivi troppo alti e di molte molecole si sta scoprendo la tossicità soltanto in questi anni. Solo dal 2013 i Pcb sono classificati cancerogeni di livello 1, mentre nell’Unione europea i limiti sono ancora a 2 picogrammi per Kg di peso (un picogrammo è un miliardesimo di milligrammo), mentre negli Usa siamo già a 0,7 picogrammi. Inoltre, l’Italia è l’unico paese Ue che non ha ancora sottoscritto la convenzione di Stoccolma che sancisce la lotta a diossine e Pcb riconosciuti ormai come cancerogeni e come interferenti endocrini, cioè in grado di alterare le funzioni ormonali causando, tra l’altro, sterilità maschile. A Forlì, dove sono presenti due inceneritori, abbiamo scoperto che c’era un’alta percentuale di presenza di queste sostanze che vengono accumulate nel latte materno. Abbiamo così svolto un’indagine sui polli ruspanti allevati a terra fino a 3 Km dagli inceneritori: su 61 campioni di uova solo 23 sono risultati a norma, mentre su 12 galline sono una aveva la carne a norma. Anche in Cina la contaminazione del latte materno sta aumentando in modo esponenziale nelle aree industriali e nelle campagne contaminate. Ma per tornare in Italia, ci sono madri che vivono nell’area di contaminazione della Caffaro di Brescia che hanno accumulato oltre 146 picogrammi/Kg di Pcb nel loro tessuto adiposo. A Taranto, in 8 donne sono stati trovati dai 12 ai 40 picogrammi con media di 23 picogrammi/Kg. A Ravenna in alcune primipare abbiamo riscontrato dosi fino a 23.4 picogrammi. In questa situazione non possiamo che chiedere di estendere i controlli sul latte materno e di sospendere in via precauzionale ogni attività che possa generare questi composti”.
A questo punto, come suggeriscono ormai i medici, si dovrebbero compiere analisi preventive sul latte materno e magari renderle obbligatorie. In questo modo le neo mamme sarebbero consapevoli su come stanno nutrendo il bambino.
“Dovrebbe essere introdotta l’analisi obbligatoria del latte materno al primo parto – è la proposta che circola trai medici e caldeggiata dal dottor Francesco Deltetto, ginecologo esperto di malattie ginecologiche trasmesse dall’ambiente, come l’endometriosi – Troppe mamme hanno accumulato inquinanti e li trasmettono al bambino con l’allattamento”.
“Ma in Italia, un’analisi sulle diossine nell’organismo, costa 1000 euro a campione”, è l’amara conclusione di Maria Caramelli.
Il dibattito è aperto.