Passione per il riso, ecco l’Accademia di assaggio
Anche il riso si può degustare, proprio come un vino, un formaggio o come un cucchiaino di miele.
Solo che finora nessuno ci aveva pensato.
Così, un gruppo di risicoltori, selezionatori, ristoratori e semplici appassionati ha deciso di colmare un vuoto nella cultura gastronomica piemontese e italiana: la capacità di riconoscere un buon riso e di poterlo certificare.
Una piccola pattuglia quella dell’Accademia italiana degustatori di riso, (www.degustariso.it) con base nei dintorni di Villarboit, corsi a Vercelli e dimostrazioni in giro per l’Italia. La mission è elaborare e diffondere un metodo di assaggio sensoriale che possa orientare prima di tutto gli operatori del commercio e della ristorazione, e che possa contribuire a diffondere l’immagine dei chicchi di riso come qualcosa di unico, legato alla terra di produzione, esaltati da preparazioni adattate alle caratteristiche delle varietà.
“I risi non sono tutti uguali. Ci sono differenze enormi tra le cultivar e poi nel modo in cui vengono lavorati e conservati – Osserva Davide Gramegna , titolare con il fratello Cristiano, del ristorante Rosso di Sera di Castelletto Ticino (NO) e panel leader dell’associazione – Queste differenze si possono “sentire” attraverso l’analisi sensoriale, solo che finora non c’era un metodo di assaggio codificato. Da vercellese ho sempre pensato che il riso fosse un “mondo” ma un mondo che nessuno conosce. Così, con due amici, Matteo Bremide e Igiea Adami, anche loro operatori del settore, abbiamo pensato di mettere in piedi l’associazione che cerca di dare un significato al mondo del riso. Attraverso i nostri corsi di assaggio vogliamo promuovere la conoscenza dei riso e del suo legame con questa terra”.
Così l’Accademia Italiana Degustatori di Riso sta piano piano elaborando un metodo, sulla falsa riga di quelli che già esistono per il vino, il tartufo, i formaggi e tanti altri prodotti (compresa l’acqua) che oggi hanno al loro cospetto assaggiatori professionisti, corsi di degustazione e manuali di assaggio.
Ma già oggi, dopo molte ricerche e molte prove, l’Accademia è in grado di trasmettere un metodo che discende da quelli elaborati dal Centro studi assaggiatori di Brescia dove si sperimentano metodi di analisi sensoriale.
Ed ecco come si fa.
“Intanto non assaggiamo risotti: l’assaggio è rivolto sia ai chicchi di riso crudi sia al riso cotto. Anche se possiamo anche assaggiare il prodotto cucinato”.
I campioni arrivano in confezioni sottovuoto con le indicazioni su cultivar, zona e anno di produzione. Il panel di assaggio è composto da persone formate ad usare i sensi per arrivare a compilare una “scheda tecnica di degustazione dei risi” che prevede 8 esami con risultati che vanno da zero a nove.
Gli esami vanno dall’olfattivo a crudo al visivo a cotto, dal gustativo e retrogustativo a cotto alla tenuta di cottura.
“Appena aperta la confezione – continua Gramegna – sentiamo il profumo, che può richiamare sentori invitanti oppure rivelare dei difetti come l’odore di verde o di straccio bagnato. Poi tocchiamo il riso e identifichiamo l’eventuale contaminazione con altri risi, diversi da quelli indicati in confezione, o l’eccessiva presenza di grani rotti insieme alla polverosità e all’eventuale aggiunta di oli. Poi il riso viene bollito (gli integrali vengono cotti con un tempo molto più lungo) e viene servito in appositi contenitori con un po’ di acqua di cottura. Viene assaggiato a caldo e a freddo, viene osservata la tenuta dei granelli, la collosità e l’eventuale gelatinizzazione. Infine diamo la singola valutazione finale sulla scheda che viene poi comparata alle valutazioni di tutti i componenti del panel”.
In questo modo il riso è assaggiato in modo “scientifico” e il giudizio è standardizzabile.
“La legge sul riso che risale al 1958 distingue le varietà di riso attraverso alcuni parametri come la forma del chicco e il contenuto di amilosio – spiega Massimo Biloni, direttore generale di Sapise, azienda che da oltre 35 anni seleziona nuove varietà di risi –
Ma nessuno è mai riuscito a stabilire un protocollo per un’analisi sensoriale. La nostra associazione, in questo modo, fa anche divulgazione verso una vera cultura del riso in cucina”.
L’Accademia, tra l’altro, sta lavorando ad un progetto di degustazione commissionato da Sapise su alcune varietà di riso nell’ambito del IV International Rice Congress che si terrà a Bangkok dal 27 Ottobre al 1 Novembre 2014.
Che è poi la grande arma (la cultura) a disposizione del cibo made in Italy nella competizione globale.
L’Accademia degustatori di riso, dopo il corso di assaggio per giudici qualificati in analisi sensoriale e il primo corso per degustatori, sta preparando un corso di formazione rivolto agli chef.
“Oggi un cuoco va in un supermercato – lamenta Cristiano Gramegna, chef del Rosso di Sera – trova le denominazioni di vendita ma spesso non trova nemmeno le varietà, così il riso sembra tutto uguale e non si riesce a premiare nemmeno le varietà, figuriamoci le particolarità legate al terreno e al microclima”.
“Invece proprio gli chef – conclude Biloni – potrebbero essere degli ottimi ambasciatori del territorio risicolo se conoscessero meglio la provenienza e le specifiche del prodotto che usano in cucina”.
Chissà se l’appuntamento di Expo, dove si parlerà molto di riso e si cucinerà moltissimo riso, potrà servire anche a questo; a fare conoscere davvero i nostri risi e a fare uscire le risaie vercellesi, novaresi e di Baraggia più forti di quelle indocinesi e brasiliane.